Parma – Milan 2-2, coi rossoneri son belle partite

Quante belle partite col Milan.

Intense, vibranti e tante, anche vincenti.

La doppietta di Melli a gennaio ’91 che ci portò in testa al campionato e lo 0-0 del ritorno che ci qualificò per l’Europa. Poi, la rovesciata di Baggio, il tacco di Adriano, l’esordio di Buffon, la rimonta a San Siro per la vittoria della supercoppa europea. E anche nelle annate sghembe, più volte sono saltati fuori risultati sorprendenti e positivi.

Ieri, le aspettative non erano granché. Forse sarebbe bastato evitare l’acquazzone e la tempesta di settimana scorsa. Noi, un po’ in disarmo: tecnico, tattico, emotivo, fisico. Loro, nelle posizioni altissime di classifica: lanciati, compatti, solidi, possenti.

E i primi venti minuti di gioco, sono andati in quella direzione. Un Parma timoroso, spaesato, passivo, molle, travolto quasi senza intenzione dai rossoneri nel silenzio protestante della curva sud occupata dai tifosi milanisti. Un gol e un rigorino: 0-2.

La rassegnazione pareva totale, completa, irreversibile. Per la squadra, per i singoli. Cinque minuti di recupero e saremmo stati contenti di non prenderne un altro. Palla avanti, un cross teso e sbagliato da sinistra che sta per finire in fallo laterale a destra. Invece, Britschgi corre, la salva, la passa al nostro 10 e Adrian sforna un tiroaggiro capolavoro.

Chissà quanto vale, pensiamo. Spesso, troppo spesso, i crociati rientrano leggeri dopo l’intervallo. Stavolta, no. Non è un assedio, ma ci crediamo. Mischia, un palo, una paratona, un fallo da mezzo rigorino non concesso, un paio di conclusioni che potevano avere più fortuna e qualità. E il terrore di prendere il KO del terzo gol in contropiede.

Invece, no.

Ancora lo svizzero lavora una bellissima palla, la crossa sul primo palo, dove il nostro capitano, Enrico Delprato, si inserisce con la rapidità bruciante di un fulmine tra tutti i difensori e il portiere e, di testa, la pareggia esplodendo di gioia e facendo detonare il Tardini in un boato fragoroso.

Ci crediamo e ci proviamo. E ci andiamo pure vicino, molto vicino. Ma è il Milan a sprecare due occasioni, che chissà Allegri negli spogliatoi.

Il calcio è così: imprevedibile, impronosticabile e bellissimo anche per questo. Ti amo anche quando pareggi (semi cit.).

PS: 40€ non è un settore popolare.

È uno degli striscioni di protesta esposti dai Boys, si riferisce al costo di un biglietto in curva nelle trasferte. L’altro era sull’assurdità di far giocare una partita del campionato in Australia (Milan-Como, in programma a febbraio).

Parma-Milan 2-2

Reti: 13’ Saelemaekers (M), 25’ rig. Leão (M), 45+1’ Bernabé (P), 58’ Delprato (P).

Sabato 8 novembre 2025, stadio Ennio Tardini. Spettatori totali 22.064 (di cui 13.081 abbonati e 3.500 ospiti) per un incasso totale di euro 563.130,22 (record assoluto).

Giallo & Blu 🟡 🔵

Parma-Bologna 1-3, sotto il diluvio

Le partite col Bologna hanno una intensità rara e nel corso della nostra carriera da tifosi sono state davvero tante quelle memorabili e questa non sarà da meno.

Ricordo da bambino quando i rossoblu retrocessero a sorpresa in C. Era una prima assoluta, un “derby” emiliano inedito.
Vennero a Parma a migliaia, era novembre. Rimasi incantato per lunghi tratti, dagli spalti dei distinti, a guardare le due curve: sature di persone, colorate di striscioni e bandiere, un volume altissimo per i cori e un’altalena di emozioni in campo con un pirotecnico 3-3 e mio nonno che mi disse “sa zughema acsí, andäma in B”.
A me già sembrava tanto avere il Bologna in C, chissà com’era la B e quante altre tifoserie importanti sarebbero arrivate.
E a fine anno, arrivò davvero la promozione.

In B, qualche anno dopo, sprovveduto adolescente in giro col mio sodale nei dintorni della curva fummo intercettati da un gruppo di bolognesi: non c’erano i filtraggi, i canali per le tifoserie ospiti se non i cortei dalla stazione, tutto era più allo stato brado. “Ehi, voi due, venite qua… Tirate via le sciarpe e datecele…
La protesta fu molto blanda: noi, due quattordicenni e loro un mezzo manipolo di giovani adulti. Mi viene ancora quasi da piangere e da stringere i pugni…

Sempre di quegli anni, trasferta felsinea in treno, al ritorno giravano voci di agguati lungo la massicciata e i passaggi a livello e così fu. In scompartimento, oltre a noi ragazzini, qualche Boys più stagionato che passava “Aprite i finestrini e tirate giù le tende: se tirano i sassi non si spaccano i vetri e i giaroni rimbalzano via…” e in effetti, così fu.

L’apoteosi, però, fu nel 2005, l’anno dopo il crack Parmalat. Stagione surreale, con la primavera che gioca la coppa Uefa e arriva fino in semifinale e in campionato si stenta, sempre in fondo alla classifica e lo spettro della retrocessione.
Tante squadre coinvolte, bagarre finale, pari punti, spareggio col Bologna.
Andata sotto l’acqua, molti squalificati, tifo infernale, si perde 0-1. Speranze poche, ma c’è un entusiasmo insolito, nonostante il rischio di batosta sportiva e morale, a Bologna è un esodo. A distanza di qualche giorno scoppia l’estate, un caldo padano asfissiante, la sud gremita di gialloblu, un tifo assordante, una partita epica, una rimonta esaltante, un trionfo insperato e meraviglioso. Salvi. Era il 19 giugno 2005,una delle date simbolo del Parma e di Parma.


Ieri, il gol di Bernabé dopo 13 secondi ci aveva portato a credere e sperare in una nuova epica serata, invece no.
La partita ha preso poi un’altra direzione, ma resterà comunque nella memoria.
In attesa di uno stadio nuovo chissà quando e dove, piuttosto che l’ennesima ristrutturazione, ieri, per mezz’ora, è sceso il diluvio universale. Per i poco avvezzi: le tribune hanno il tetto ma le curve sono a cielo scoperto.
Pioveva così forte, a tratti, che i goccioloni facevano male sulle spalle, c’erano tuoni e fulmini e lampi e il Parma perdeva e senza apparente possibilità di recupero.
È stata la mezz’ora di tifo più vivo, puro, intenso, scatenato, un trasporto totale di pura passione.
Di ritorno, il piccolo Blu mi ha girato un video.
Lui e i suoi amici cantano e saltano, i ciuffi gocciolanti, le felpe intrise d’acqua, i volti lucidi di pioggia, le sciarpe incollate ai colli e dei sorrisi bellissimi.
Quelli di chi sa d’essere per quella mezz’ora nel proprio posto giusto nel mondo: in curva, tra amici, il cuore che batte sincrono, la stessa passione, la bellezza d’essere insieme,un soffio d’eternità che rimarrà.

Giallo & Blu 🟡 🔵

Lupo, segnale di salute degli ecosistemi. Il problema della malagestione in zootecnia

La posizione di Legambiente, Lipu e WWF

Occorre dare ai cittadini gli elementi di conoscenza e concreti per ridurre il conflitto con la fauna e i grandi carnivori basati non sulla propaganda o su retaggi anacronistici, ma sulle conoscenze scientifiche.
Negli ultimi giorni sono apparse su diversi organi di stampa notizie e commenti riguardanti la presenza del lupo in Alta Valtaro e gli episodi di predazioni ai danni di animali domestici. Legambiente, Lipu e WWF ritengono necessario intervenire per riportare il dibattito su un piano di serietà e responsabilità, lontano da allarmismi e strumentalizzazioni, una caccia di consenso a buon mercato che accomuna i politici nostrani di diversi colori con spirito bipartisan degno di miglior causa.

La maggioranza delle persone, silenziosa sì, ma non per questo assente, sa perfettamente che il lupo è una specie protetta, simbolo della biodiversità delle nostre montagne e presenza stabile sull’Appennino parmense ormai da decenni. La sua espansione è un segnale di buona salute degli ecosistemi, con ricadute a beneficio di tutti, incluse le comunità locali che vivono in questi ambienti. Si pensi ad esempio alla forte riduzione della nutria in diverse aree planiziali, così come al contributo all’eliminazione di carcasse di cinghiali infette dalla Peste Suina Africana, enorme minaccia per il comparto agro-industriale padano e parmense in particolare, poiché il virus viene ucciso al passaggio nell’apparato digerente del lupo. Sono questi solo alcuni dei servizi ecosistemici di altissima rilevanza economica ed ecologica svolti dal predatore, ma quasi mai menzionati.

È inoltre ampiamente dimostrato da numerosi studi il cruciale ruolo svolto dalla gestione dei rifiuti e scarti di origine animale – quali vacche e vitelli morti in attesa di smaltimento, oltre alle placente derivanti dai parti – nel condurre lupi in prossimità delle attività umane: tale vicinanza è strettamente associata alla facilità nel reperire cibo a basso costo.
È dunque necessario che le istituzioni di riferimento supportino una transizione volta a prevenire tali dinamiche, supportando il comparto agri-zootecnico sia con opportune revisioni normative (tra cui maggiore rapidità nell’elargizione degli indennizzi per capi predati), sia con incentivi economici, volti ad attuare pratiche affinché sia mantenuta la giusta distanza tra il selvatico e le attività umane, a cui fa seguito anche la tranquillità delle persone.

È bene ricordare che la cospicua presenza di stalle su tutto il territorio provinciale rappresenta un forte elemento attrattore per il lupo, ragione per cui è decisivo attuare meccanismi di prevenzione mediante una gestione dei rifiuti e dei resti animali adeguata alla situazione e sostenibile per gli allevatori, che devono rispondere adeguandosi con correttezza a tale gestione per la sicurezza degli animali stessi e, non meno importante, anche per la tranquillità delle persone. Si tratta di azioni e strumenti già ampiamente disponibili e conosciuti, in parte previsti dalle norme, che si chiede agli allevatori di attuare per responsabilità verso la comunità di cui fanno parte.

Quando si parla di lupo, non esistono differenze politiche, destra e sinistra sono sovrapponibili, una sequela seriale di copia/incolla. Sorprende in particolare che chi ha ricoperto nel recente passato incarichi istituzionali regionali in tema di aree protette e tutela della Biodiversità, si accodi al populistico slogan “difendiamo le comunità”. Le elezioni politiche del 2027 sono dietro l’angolo e ci si sta muovendo alla ricerca di consenso.

Riteniamo grave, in altre parole, che la politica tutta continui ad assecondare una narrazione che contrappone i benefici universali alla salute generati dalla biodiversità e da ecosistemi funzionali ed integri alla necessità di reimparare a coesistere con la fauna in un ambiente mutato, ovvero ritornato all’originaria ricchezza di specie, carnivori inclusi. A patto che si intraprenda seriamente una strada di risoluzione del conflitto, dove ai cittadini vengono forniti gli strumenti adeguati per ridurre al massimo gli effetti negativi, i grandi carnivori non rappresentano una minaccia per le comunità locali, non in misura maggiore, per esempio, delle decine di vittime causate dagli incidenti di caccia ignorati con vergognoso cinismo dalla politica locale e nazionale. Gli indennizzi economici per i capi di bestiame sono già presenti da tempo, occorre anche un intervento culturale per modificare alcuni comportamenti che si ritengono normali, come lasciare gli animali incustoditi, ma che sono frutto di intenso bracconaggio perpetrato in passato ai danni del lupo e che lo avevano portato sull’orlo dell’estinzione.

La coesistenza tra uomo e fauna selvatica richiede conoscenza, prevenzione e collaborazione fra enti, autorità scientifiche e cittadini.

Le istituzioni non devono rincorrere la propaganda che criminalizza il lupo, ma farsi promotrici di un approccio equilibrato, fondato su dati scientifici e sul sostegno concreto agli allevatori e ai cittadini che vivono nei territori montani. Lavoro della politica nel suo più alto senso è quello di saper contemperare le diverse necessità ed esigenze.

Ricordiamo che esistono strumenti e buone pratiche già attive in molte aree appenniniche: recinzioni elettrificate, cani da guardiania, indennizzi per danni accertati e attività di informazione su comportamenti rischiosi rivolte alla popolazione. È su queste misure che occorre investire, non su campagne di paura o richieste di abbattimenti che non hanno alcun fondamento tecnico, ma anzi rappresentano turbative negli equilibri delle famiglie di lupi che possono portare a comportamenti imprevedibili e caotici da parte degli individui.

La coesistenza tra comunità locali e fauna selvatica è possibile se si abbandona la logica del conflitto e si lavora concretamente insieme per una montagna viva, ricca e sostenibile, dove la presenza del lupo sia ricompresa nei comportamenti umani come parte integrante di un equilibrio naturale di cui facciamo tutti parte e che desideriamo tutelare.

Legambiente, Lipu e Wwf

Parma – Como 0-0, Difesa arcigna e pensieri australiani

Anche questa settimana, niente curva per il Grosso Giallo.
Mentre il Piccolo Blu è immancabile sui gradoni subito dietro la porta.

Ci sentiamo con qualche messaggio durante la gara, mentre uno è a lavorare e uno a tifare.
E poi ancora a fine partita.

I presupposti, dato il momento brillante del Como e la condizione non esattamente scintillante del Parma, non erano quelli di una cavalcata trionfale. Anzi. Però s’è portato a casa un punto pesante, la porta è rimasta nuovamente inviolata e per due partite consecutive, cosa che in questi ultimi anni non è stata esattamente la norma.

A entrambi è piaciuta molto, in realtà, ancor più della prestazione comunque positiva, la bella conferenza stampa del nostro giovanissimo allenatore.
Pressato dai risultati non eccellenti e dal gioco non propriamente strabiliante, si è prodotto in un’analisi lucida e articolata come raramente succede negli scambi tra giornalisti e tecnici.
Spesso sono chiacchierate immutabili da decenni, condite di luoghi comuni e banalità.
Cuesta si sottrae volentieri e cerca di esporre il proprio pensiero e di distinguere la sua figura professionale, cioè il lavoro che è qui a fare e per cui è pagato e la sua idea e visione di calcio.
Ammette che la squadra non gioca un calcio entusiasmante, ma che l’obiettivo è il mantenimento della categoria e non il calcio spumeggiante e trascinante, almeno non ora. Quindi, la costruzione della squadra è al momento molto rivolta verso i fondamentali di difesa, a guadagnare sicurezze, solidità, affiatamento, coesione. Proprio per portare a casa quei punti essenziali, vitali, per non scivolare troppo verso il basso della classifica e farsi travolgere dalle ansie della serie B.
Insomma, in curva il Parma non ruba gli occhi per fantasia, estro, velocità, spettacolo; ma quando Carlos parla, ci sembra credibile, autorevole e degno di fiducia. Vedremo.
Lui, passerà: per continuare la sua carriera verso prestigiosi lidi, in caso di successo oppure verso altra gavetta, per provare a rilanciarsi in caso di insuccesso. Noi, invece, saremo sempre qua.
Con un po’ di frustrazione crescente e diffusa.
Quella della frammentazione del calendario, che porta noi adulti lavoranti a perdere un numero considerevole di partite ogni anno. Venerdì, sabato, domenica, lunedì; e poi i turni infrasettimanali. Le 12.30, le 15.00, le 16.00, le 18.00, le 18.30, le 20.00, le 20.30, le 20.45 e poi chissà cosa ancora… Praticamente, è impossibile starci dietro. E fa strano, perché il calcio era proprio il rito laico italiano per eccellenza. E i riti hanno, devono avere, le loro liturgie, le loro forme e le proprie cadenze. La Coppa Italia ad agosto, il campionato da settembre, le coppe europee il mercoledì, gli orari stagionali che variavano al passaggio tra ora solare e legale e l’immancabile domenica.

Ormai non è e non sarà mai più così.
Ma il limite dov’è? Sette giorni su sette? 24 ore su 24? Mercato tutto l’anno, coppe e campionati e nuove leghe e ancora altri tornei in una saturazione che ormai sfianca.

Già, qual è il limite?
Per ora, l’Australia, in cui si giocherà una partita del prossimo campionato per evitare la concomitanza della cerimonia d’apertura dei Giochi Olimpici a Milano.
In un crescendo, ridicolo, di retorica in cui i dirigenti vedono il male del calcio nelle persone che rubano le dirette televisive, nelle proteste dei tifosi, nello scarso sostegno delle istituzioni nazionali (che permettono indebitamenti per i quali qualsiasi altra società sarebbe stata dichiarata fallita)  e non nelle loro scelte atte sempre ad ampliare una torta ormai indigesta e ad allontanare i tifosi a favore dei consumatori o dei turisti del pallone.
Oggi, il limite pare essere l’Australia; domani, magari, la luna, Marte o Giove?
Il calcio, rimane quello dei sentimenti, delle relazioni, dei cori, dell’euforia per un gol, del cuore in gola, del batticuore per un’azione avversaria in area, delle chiacchiere a partita finita mentre lo stadio si svuota, degli abbracci quando ci si rivede dentro il Tardini.
A dispetto di tutto e di tutti.

Giallo & Blu 🟡 🔵

Genoa-Parma 0-0, trasferta vietata

Trasferta vietata: era nell’aria.
Gli scontri di Cremona, il gemellaggio tra Boys e Ultras Tito Cucchiaroni della Sampdoria hanno fatto prendere questa decisione alle autorità. È sempre una notizia dolorosa, specie per certe partite.

Genova non è lontana, offre lo spunto per qualche gita e sosta enogastronomica gradita e in più la visuale dallo stadio è tra le migliori d’Italia e c’è il già citato gemellaggio ma con l’altra squadra genovese.

Le trasferte, il tifo organizzato hanno subito una evoluzione considerevole negli ultimi decenni.

Negli anni ‘60 e ‘70 erano qualcosa di quasi esotico: non ci si spostava per andare a vedere la propria squadra, ma per una domenica fuori città, l’occasione per provare qualche ristorante di grido o al limite era un’appendice a una visita parenti.
Già dagli anni’80, invece, la presenza dei tifosi in trasferta aumenta e diventa qualcosa di fortemente identitario: portare i proprio colori e cori a sostegno dei crociati, anche lontano dal Tardini, e dimostrare lo spessore e qualità del proprio tifo.

In quegli anni e nel decennio successivo, è diventato un’occasione di scontro fisico: cercato, desiderato e talvolta addirittura necessario, con quella volontà un po’ tribale e primordiale di vendicare torti o assalti precedenti.
In una domenica in cui a Rieti dei delinquenti travestiti da tifosi si sono macchiati di un assassinio assurdo e ingiustificabile, a latere di una partita di basket di serie A2, è oltremodo complicato parlare di questi argomenti.
Ma oltremodo necessario, perché quasi nessuno lo fa; se non per dire, appunto, basta violenza negli stadi.

Però, e c’è sempre un però in questo mondo complesso, bisogna poi avere a che fare con la realtà.
Lo stadio, è un luogo dove la violenza è una eventualità; non come scelta preordinata, ma come evento che possa accadere. E a cui si deve essere preparati.

Ultimamente non lo sono le forze dell’ordine, incapaci di gestire masse, folle, provocazioni; e talvolta con responsabilità non indifferenti.
Anche qui, ricordo da ragazzo, sia durante le trasferte che in casa, le FFOO che accompagnavano, si relazionavano alla pari con i tifosi, in una sorta di collaborazione; perfino la Digos sceglieva sempre il dialogo, rispetto alle altre possibili opzioni.
Si viaggiava in treno su convogli dedicati, che erano sì dei terreni franchi con diverse norme civili sospese; ma in cui raramente succedevano disastri.
Oggi, nella stragrande maggioranza delle occasioni (ci sono per fortuna salvifiche eccezioni), il tifoso è trattato come bestiame: incanalato, controllato, marchiato, direzionato e, soprattutto, obbligato a tutto. Codici, numeri, biglietti nominali, tessere del tifoso e quant’altro, salvo poi, in caso reale di problemi o scontri, fare sempre fatica a identificare i colpevoli, per non parlare delle dinamiche.
A Cremona, qualche settimana fa, ci siamo trovati in macchina nel bel mezzo degli scontri: avere avuto esperienze pregresse, sapere come muoversi, cosa fare oltre ad avere ben chiaro cosa non fare è essenziale per evitare sia di prendere due sberle (o ben peggio), sia di essere arrestato e incriminato come facinoroso senza alcuna responsabilità. Nel caso, ad esempio, siamo stati imbucati, da indicazioni errate delle forze dell’ordine, in una zona praticamente non presidiata.

In passato, è successo spesso di dover fare fronte ad assalti e agguati, in treno ad esempio o in zone limitrofe allo stadio. Ricordo sempre gli anziani, più esperti, in primis, a proteggere noi ragazzini, a insegnarci come abbassare i finestrini e tenere tirate le tende; insomma, a limitare i danni.

Una sorta di legge della strada. Però ho sempre sentito questa sorta di responsabilità dei grandi nei confronti dei piccoli, dei vulnerabili, dei deboli e poi, di insegnare le regole, di come non prenderle, di come non farsi male, di come non farsi fare male.

Anche questo, è essere famiglia; una famiglia magari strana e disfunzionale in diversi aspetti; ma che da fuori, in pochi conoscono o vogliono conoscere.

Così come i legami d’affetto, di fratellanza che si sviluppano nel corso degli anni, più di trenta per esempio, tra i gialloblù e i doriani. E ogni volta che ci si trova è una grande festa, fatta anche di sacrifici, di impegno, di sostegno, volontariato e volontà.

Ieri, nessuno dei due ha visto la partita: uno, perché impegnato sul campo da gioco con gli amici nel campionato allievi; io, a Teatro Due, a condividere la sofferenza di non sapere nemmeno il risultato con il già citato Paolo Nori.

Che nel suo spettacolo ha detto, tra le altre, una cosa che mi è piaciuta moltissimo: la scrittura, quella bella, non dovrebbe servire a rendere visibile, l’invisibile; ma a rendere visibile il visibile, ossia ad aprirci gli occhi su quello che ogni giorno abbiamo già davanti al nostro sguardo. Ecco, secondo me, la curva è un po’ così: solo una parte, certi aspetti sono visibili e fanno notizia; gli altri, sembra interessare o esistere solo per chi c’è e vede e guarda ogni giorno.

Sul match, a maggior ragione, peccato non esserci stati a questo Genoa-Parma: evitare la sconfitta parando un rigore a tempo scaduto, dà una certa scarica di adrenalina e una certa soddisfazione.

Genoa-Parma 0-0

Domenica 19 ottobre 2025, stadio Luigi Ferraris in Marassi di Genova, spettatori 30.636 (di cui abbonati 28.101 e paganti 2.535; no ospiti). 

Giallo & Blu 🟡 🔵

E se le piazze fossero il confine più netto tra destra e sinistra?

Forse è proprio in piazza che si manifesta — in senso letterale e simbolico — quella differenza tra destra e sinistra che molti giudicano ormai superata, impolverato souvenir per nostalgici del secolo scorso. Negli ultimi giorni, le manifestazioni di solidarietà alla Flotilla e contro il genocidio israeliano a Gaza che hanno attraversato l’Italia, hanno riportato in superficie una frattura che non riguarda soltanto la visione politica e geopolitica, ma una diversa idea di cittadinanza e partecipazione.

Quelle piazze, indubbiamente collocabili a sinistra, sono state duramente criticate da destra. In molti dei commenti non tanto dei leader politici, ma dell’opinione pubblica, almeno di quella parte che abita i social network, emergeva una convinzione semplice e netta: “perchè manifestate per qualcuno che sta a migliaia di chilometri da noi, e non fate nulla quando in Italia ci sono pensioni da fame, stipendi bloccati, liste d’attesa infinite nella sanità pubblica?”. Un’altra argomentazione largamente diffusa non era meno utilitaristica: “per chi sta a Gaza il giorno dopo non è cambiato nulla, mentre io ho trovato la tangenziale bloccata”.

Sono obiezioni che, a modo loro, contengono una logica. Ma che ci mostrano anche un tratto profondo che dal ‘900 sembra essere giunto intatto nella cultura politica contemporanea: essere di sinistra significa anche mobilitarsi per cause che non ti toccano direttamente, mentre chi è di destra scende in piazza per difendere o rivendicare qualcosa di più vicino nel tempo e nello spazio.

Basta ricordare cosa è accaduto solo poche settimane fa, quando una parte consistente dell’opinione pubblica italiana — soprattutto quella di destra — guardava con simpatia e ammirazione alle manifestazioni francesi contro la riforma delle pensioni. “loro sì che si fanno sentire, mica come noi che stiamo qui inerti a subire gli abusi del potere”. Quelle piazze (assai più violente e incendiarie di quelle di casa nostra) piacevano proprio perché i francesi manifestavano per sé: per la propria pensione, per il proprio reddito, per la propria quotidianità. Una forma di protesta “egoistica”, se vogliamo dirla così, ma perfettamente coerente con un certo modo – oggi largamente vincente in tutto il mondo – di intendere la politica come difesa dei propri interessi e confini, materiali e simbolici.

Al contrario, le piazze pro-Gaza — con tutte le loro contraddizioni, con le tensioni e i limiti che si possono criticare — nascono da un impulso diverso: quello di mettersi nei panni di qualcun altro, di allargare lo sguardo oltre la propria quotidianità, di sentire come intollerabile un’ingiustizia anche quando non la subiamo noi o qualcuno che appartiene alla nostra stessa tribù.

Ecco allora che nella piazza si rivelano due antropologie politiche, umane, culturali opposte. Da una parte, quella che misura il valore dell’impegno sociale sulla base del “qui e ora”: “Perché devo preoccuparmi di chi è lontano, se qui le cose non vanno?” Dall’altra, quella che ritiene che proprio la distanza sia la prova della solidarietà più cristallina: “Se mi muovo solo per ciò che mi tocca, non è più impegno, è interesse.”

Forse è un segno dei tempi che questa differenza sia evidente ormai quasi solo lì, nella ritualità di un corteo e degli striscioni scritti a mano. La sinistra, ancora, tende la mano oltre il proprio recinto. La destra, ancora, sta chiusa dentro e difende ciò che è suo. In un’epoca in cui le ideologie si sono sfilacciate e le appartenenze si confondono, è la piazza — disagevole, imperfetta, scomposta — a ricordarci che non tutti intendiamo la parola “noi” nello stesso modo.

Rolando Cervi

Insicurezza in Oltretorrente. Esposto alle Autorità

Riceviamo e pubblichiamo l’esposto inviato a Prefetto, Questore e Sindaco da parte di un gruppo di residenti (120 firmatari) dell’Oltretorrente. Nel documento sono evidenziati i punti critici nella quotidianità del quartiere. Una protesta ferma e dai toni garbati.
Abbiamo raccontato la situazione nel nostro reportage di 24 ore “La sottilissima linea di piazzale Inzani“. Torneremo in futuro a documentare quanto accade “di là dall’acqua”.

I sottoscrittori del presente esposto (per conto anche di altri cittadini domiciliati in questa area del quartiere) intendono porre alla vostra attenzione la gravissima situazione di degrado sociale e civile quotidianamente vissuta in Oltretorrente (segnatamente p.le Picelli, via Imbriani, b.go Parente, p.le Bertozzi, largo Giandebiaggi, via Galaverna, b.go Poi, b.go Fiore, p.le Inzani, via D’Azeglio e zona Ospedale Vecchio, p.zza Corridoni, via Bixio).

Episodi di risse, violenza, ubriachi molesti, spaccio e consumo di droghe, furti ripetuti, bivacchi permanenti con consumo di bevande alcoliche (e non solo), eccesso di rumore e schiamazzi causati dai frequentatori dei numerosi locali (concentrazione eccessiva rispetto ad un contenitore urbano dalle dimensioni ristrette e pertanto fragile) rappresentano il vissuto giornaliero con il quale sono obbligati a convivere, loro malgrado, i residenti.

La concreta certezza dei cittadini abitanti in queste vie e piazze è che non ci sia una adeguata presa d’atto di quanto sta accadendo, nonostante i giornali e i tg locali pubblichino ricorrenti articoli di cronaca, assieme a lettere di persone esasperate e comunicati dei tanti comitati sorti nel frattempo in città (si aggiungano diversi esposti sistematicamente lasciati senza riscontro).

Quando le persone intervistate esprimono l’insicurezza o la reale paura a muoversi in certi orari non raccontano percezioni ma realtà. Il rischio di restare coinvolti in un pestaggio tra ubriachi/drogati od essere presi di mira da un gruppetto di ragazzotti in vena di violenza gratuita o bullismo è concreto e neanche tanto raro, viste le cronache recenti.

C’è la razionale convinzione che non sia più il tempo di ascoltare dichiarazioni di intenti, giustificazioni in quanto fenomeno nazionale o, peggio ancora, di continuare ad insistere nella narrazione di una città che non c’è. Si è, da tempo, maturata la certezza che sia l’ora di agire.

Si chiede pertanto l’adozione delle seguenti misure:
⁃ divieto di consumare bevande alcoliche per strada;
⁃ chiusura dei locali etnici max alle ore 20.00 e divieto di vendere bevande alcoliche refrigerate;
⁃ divieto di assembramenti molesti;
⁃ attività investigativa mirata sullo spaccio nei negozi etnici di p.le Bertozzi/via Imbriani;
⁃ controllo della regolarità dei contratti di affitto e incrocio con le utenze, sia nei negozi, sia nelle abitazioni;
⁃ presenza permanente delle Forze dell’ordine, coadiuvate anche da altre organizzazioni autorizzate;
⁃ controllo rigoroso da parte della PL degli esercizi pubblici che non rispettano i regolamenti
⁃ comunali (dehors inclusi);
⁃ ⁃ anticipazione della chiusura alle ore 24.00 per i bar (specie per chi non rispetta il cosiddetto
”comportamento virtuoso”);
⁃ controlli severi per il rispetto dei livelli sonori (decibel) previsti dalla zonizzazione acustica.
⁃ Nella convinzione che tali obiettivi siano tutti realizzabili, attraverso il coordinamento sinergico di tutti gli attori citati, nello spirito della più ampia volontà collaborativa, si resta in attesa di riscontro e si porgono distinti saluti

120 firmatari, residenti in piazzale Inzani, via Imbriani, piazzale Bertozzi e borghi adiacenti

Parma-Lecce 0-1, a proposito di sconfitte

Ci incrociamo, come ormai d’abitudine, sotto i gradoni della Nord.
Ci riconosciamo da lontano e sorridiamo, ci abbracciamo stretti, avvolti nelle nostre sciarpe.

La mia è un reperto storico: una Crusaders originale del campionato 86-87; lui invece ne porta una molto diffusa oggi, specie tra i più giovani: dio-stramaledica-i-reggiani.

Sta distribuendo i volantini con il consuntivo annuale dei Boys1977, il gruppo del tifo organizzato. Non ha importanza soffermarsi su numeri e pensieri, giudizi e prospettive, quanto sulla chiusura: Parma siamo noi!

Così, a caldo, può sembrare una frase esagerata, autoreferenziale, roboante. E forse lo è. Però, poi, a guardare bene…

Le proprietà si avvicendano non sempre lasciando un buon ricordo (Tanzi, Ghirardi, Manenti ecc); per non parlare dei giocatori: oggi qui, domani chissà; stessa sorte per le guide tecniche. Anche gli sponsor sono ormai ballerini.

Le rose non sono più composte da giovani della provincia e dintorni, cresciuti nelle giovanili.

A conti fatti, se dovessimo trovare una costante, un vera coerenza, davvero forse bisognerebbe guardare in curva.

Parma, è una città dalle mille peculiarità e vale anche per il calcio.
Se non sono poche le società che, un po’ per convinzione, un po’ per convenienza hanno ritirato la maglia 12 dalla numerazione disponibile, in onore del dodicesimo uomo in campo, ovvero il pubblico, pochissime sono le tifoserie che cantano esclusivamente per la squadra e non per i giocatori.

È una rarità nel mondo del pallone, che facilmente s’innamora del centravanti da 20 gol, del portiere saracinesca, del fantasioso trequartista o del giovane di belle speranze.
E questo, ovviamente, succede ancora, anche a Parma.
Ma per scelta ormai antica, nessuno intona cori con i nomi dei giocatori.

La storia fuori dalla curva non è così conosciuta: qualche lustro fa la Parmalat è stata più o meno lecitamente proprietaria non solo del Parma, ma anche di un’altra società situata immediatamente oltre il confine orientale del fiume Enza. Quella squadra navigava verso il fondo della classifica e nel recupero infrasettimanale di una partita di campionato riuscì a battere agevolmente un Parma particolarmente remissivo per 2-0.

Da quel momento, i cori si sono diradati, la fiducia verso i giocatori crollata e ha iniziato a svilupparsi un sentimento molto forte per i colori, che andasse ben oltre i singoli, per quanto apprezzati, interpreti.

Oggi, nemmeno prestazioni sfavillanti, promozioni o exploit riescono a rimettere in bocca ai tifosi i nomi stampati sulle magliette per canti condivisi e scanditi.

Uno dei cori più sentiti, per quanto non spesso proposto, sulle note di Maledetta Primavera cantata da Loretta Goggi recita proprio “chissenefrega giocherà la Primavera, ci basterà veder la maglia per cantare ancora”.

Anche per questo, forse, il momento in cui siamo ripartiti dalla D è stato davvero un anno zero, molto bello. In cui il calcio, il tifo, i colori, la passione, la partecipazione erano sopra qualsiasi altro aspetto. Lo certifica il numero spropositato di abbonamenti, non solo agevolato dal costo irrisorio, ma anche la partecipazione massiva alle trasferte esotiche di Arzignano, Chioggia, Brescello, Carpi e via dicendo.
Da lì, credo che il seme della crociata, la maglia, abbia trovato terreno fertile in tanti bambini che oggi sono ragazzi che sventolano bandiere e cantano a squarciagola nella Nord.

Detto questo la passione per il singolo resta strisciante e in curva, le magliette sono tantissime.
Ci sono le crociate, le besione (quelle a righe orizzontali gialle e blu), le prosciutte (quelle degli ultimi anni di C e B e la prima storica A), molte, naturalmente, le ultime versioni commerciali e, a onor del vero, poche sono quelle anonime, senza il nome di un qualche giocatore.

Tante quelle degli attuali interpreti, con prevalenza di Del Prato e Bernabè; alcune del recentissimo passato: Bonny, Man, Mihaila; qualche giovanissimo come Circati o addirittura Corvi e Plicco (tra i pochissimi pramzani-parmensi allevati in casa); ovviamente tante che riportano alle pagine gloriose con Cannavaro, Thuram, Veron, Chiesa, Crespo, Dino Baggio (prima o poi, di lui dovremo scrivere, perché è il vero e più profondo idolo della Nord) come della clamorosa cavalcata guidata da mister Nevio Scala: Benarrivo, Di Chiara, Grün, Brolin. O di chi ha scelto di rimanere, sempre e comunque, come Lucarelli.

Ma quello che non smette mai di stupirmi, è la marea di casacche dedicate agli eroi minori.
Perché il calcio, il tifo, la curva, è esattamente questo: qualcosa di viscerale, ancestrale, insondabile, che tocca corde della sensibilità personale spesso incomunicabili, incomprensibili, inavvicinabili.
A volte, sul nome o il numero c’è l’autografo e allora ci sta anche il valore del momento, del ricordo, del cimelio.
Ma in certi casi, è solo poesia del calcio: Brugman, Brunetta, Schiappacasse, Siligardi, Potenza, Kutuzov, Lanzafame, Grella, Paponi, Gasbarroni… con la consapevolezza che è un elenco senza fine e che potrebbe scatenare ricordi indelebili, quelli che, esattamente a ogni occasione, ci riportano in curva, a sostenere i nostri colori e la nostra città.

Di Parma-Lecce, cosa dire?
Ci affidiamo alle parole di un grandissimo tifoso del Parma, che incrociamo spesso sui gradoni e che leggiamo sempre con enorme piacere, Paolo Nori: “A me, piacciono molto due cose che fanno piangere: la letteratura russa e le partite del Parma”.

Parma-Lecce 0-1 (Rete: 38′ Sottil)

Sabato 4 ottobre 2025, Stadio Ennio Tardini, 19.580 spettatori (di cui 13.081 abbonati e 3.179 ospiti) 

Giallo & Blu 🟡 🔵

Residenti contro il fotovoltaico nel quartiere Colombo

Riceviamo e pubblichiamo il comunicato di un gruppo di residenti di via Setti, quartiere Colombo (San Leonardo), contrari all’impianto fotovoltaico a terra, previsto su 4 ettari tra via Benedetta, via Setti e la ferrovia Parma-Suzzara. Di questa vicenda avevamo scritto un resoconto dell’incontro pubblico tra residenti, società proponente e amministrazione comunale, nel giugno scorso. Secondo il progetto sarà occupata dai pannelli fotovoltaici il 32% della superficie complessiva dell’area, oggi terreno agricolo.

Immagine satellitare con evidenza dell’area interessata dall’impianto fotovoltaico in quartiere Colombo

“Dopo aver ascoltato la videoregistrazione della seduta del Consiglio Comunale di Parma del giorno 29 settembre 2025 un gruppo di residenti del quartiere Colombo, riunitisi al fine di manifestare tutto il proprio dissenso in merito alla prevista realizzazione del Parco Fotovoltaico Parma 1 e Parma 2 da parte della ditta Chiron in via Setti, tengono a precisare quanto segue.

Ringraziamo il Sindaco, gli assessori ed i tecnici per averci ricevuto, comprendiamo il timore delle amministrazioni di incorrere in ricorsi da parte delle aziende proponenti queste energie green, ma vorremmo fosse chiaro che siamo ben lungi dall’essere soddisfatti.

Riteniamo infatti che sarebbe stato preferibile che le eccezioni da noi riscontrate fossero state avanzate dall’amministrazione stessa, al fine di garantire il benessere e la qualità di vita dei residenti, tutelare il territorio rurale del Comune ed evitare inutile e dannoso consumo di suolo, particolarmente inaccettabile nel caso specifico del Quartiere Colombo, già sufficientemente penalizzato dalla presenza dell’inceneritore, del depuratore, dell’autostrada, dei poli logistici. 

Nessuno di noi è contrario alle energie rinnovabili, ma non possiamo accettare che esse vengano fatte in questo modo e diventino oggetto di mera speculazione, senza rispetto dei residenti e del territorio.

Ci riterremo quindi soddisfatti se il Comune ci sosterrà e non ci ostacolerà nella verifica delle eccezioni rilevate ed esposte nell’istanza di autotutela inviata ad ARPAE il giorno 25/09/2025 e se promuoverà insieme a tutti i Comuni della nostra Provincia e possibilmente insieme alle altre Province della nostra regione un’azione ferma in sede di Conferenza unificata degli Enti Locali al fine di modificare sensibilmente le regole per la concessione di permessi per la realizzazione di impianti fotovoltaico a terra ed agrivoltaici e per promuovere modifiche alle normative nazionali. 

Le condizioni attualmente previste dalla normativa sono molto pericolose e rischiano di vedere un territorio agricolo da tutelare ricoperto di impianti che invece dovrebbero prioritariamente essere realizzati in aree davvero degradate, già cementificate, dismesse dai settori industriali o artigianali, nonché incentivati su tetti e parcheggi delle aree produttive e delle abitazioni”.

Gruppo di cittadini di via Setti – Quartiere Colombo 

WWF: le energie rinnovabili non siano un problema ma la soluzione

A seguito delle notizie di queste settimane su nuovi impianti di produzione energetica, e delle discussioni che ne sono scaturite anche all’interno dei Consigli Comunali, come WWF Parma riteniamo utile chiarire la nostra posizione, anche per uscire dalle stucchevoli discussioni “da social” a cui stiamo assistendo e avviare una riflessione più approfondita.

Il territorio di Parma si trova oggi di fronte a una sfida cruciale: conciliare l’urgenza di fronteggiare l’emergenza climatica attraverso la transizione energetica con l’altrettanto cruciale tutela della biodiversità, del paesaggio e delle vocazioni agricole e culturali della nostra terra.

Quello a cui assistiamo è uno stillicidio di progetti presentati da privati, di fronte ai quali gli enti locali si pongono spesso in maniera passiva, come semplici passacarte senza leve decisionali, anziché farsi promotori di veri processi partecipativi. Riteniamo invece che dovrebbero guidare i processi con coraggio e visione di lungo periodo, avendo chiara la priorità del bene comune rispetto 
all’interesse privato.

Il paesaggio non è un semplice sfondo, ma un bene comune che all’ambiente unisce la storia, la cultura e la vita delle nostre comunità. La principale minaccia a questo patrimonio è oggi la crisi climatica, che lo sta sfigurando con eventi sempre più intensi e frequenti. I nemici più pericolosi non sono coloro che propongono un campo fotovoltaico o un impianto eolico, ma i signori del fossile e la loro rete di complicità politico-mediatiche, disposti a tutto pur di non perdere le rendite di posizione ereditate dal secolo scorso.

Per scongiurare queste minacce e accelerare sulla strada della transizione, rendendola accettabile e desiderabile, è fondamentale che ogni progetto di impianto rinnovabile tenga conto del contesto ambientale, sociale e paesaggistico nel quale si colloca, e veda un confronto reale con i cittadini e con le realtà locali, in un clima di trasparenza e partecipazione.

Nella pianura, il fotovoltaico può e deve essere protagonista, ma a precise condizioni. La priorità deve andare ai tetti di case, scuole, capannoni, edifici agricoli, pertinenze delle infrastrutture stradali e ferroviarie, così come alle aree produttive dismesse e ai terreni degradati.

Siamo però consapevoli che questo tipo di aree non sono sufficienti per soddisfare i nostri crescenti fabbisogni di elettricità pulita necessari per compiere con la necessaria urgenza la transizione energetica. Va considerato anche il tema non secondario dei maggiori costi dei piccoli impianti rispetto a quelli di maggiori dimensioni, detti “utility scale”, costi che rischierebbero di gravare sulla
bolletta di famiglie e imprese. Da qui la necessità di considerare anche il ricorso a terreni agricoli, preferibilmente con impianti agrifotovoltaici, in grado di integrarsi con le colture, conservando la funzionalità del suolo e – non da ultimo – garantire nuove opportunità di reddito per gli agricoltori.

In montagna, l’eolico può svolgere un ruolo importante, ma serve grande attenzione alla qualità progettuale. Non possiamo accettare che si continui a proporre impianti messi su carta senza considerazione per il contesto, a volte nel cuore di aree protette o in paesaggi di particolare rilevanza o fragilità.

Ogni nuovo progetto dovrebbe essere valutato con cura, tenendo conto della morfologia del territorio, del paesaggio e della biodiversità, valori ancora troppo spesso trascurati nei piani industriali. Se si vuole migliorare l’accettazione sociale degli impianti, è fondamentale che le comunità non siano spettatrici ma protagoniste: devono poter condividere i benefici derivanti dall’energia prodotta, attraverso modelli di partecipazione e gestione condivisa.

Per portare il nostro territorio nel futuro crediamo sia indispensabile una mappatura delle aree idonee libera da spinte populiste, basata su regole trasparenti e condivise, progetti che contengano un calcolo onesto del saldo tra gli indispensabili benefici e gli inevitabili costi. Chiediamo che sia promossa, sostenuta e incentivata anche la nascita di comunità energetiche, per consentire ai Cittadini di ridurre i costi in bolletta e diventare parte attiva della transizione. Per questo occorre che
le Istituzioni investano in formazione e informazione, perché senza conoscenza e consapevolezza non ci può essere futuro sostenibile.

Come WWF sosteniamo una transizione energetica che sia rapida e giusta, capace di ridurre le emissioni, tutelare il paesaggio, la biodiversità e rafforzare il legame tra comunità e territorio.
Le rinnovabili non sono un problema, sono la soluzione. La vera questione è come realizzarle in modo giusto, intelligente e rispettoso delle persone e dei luoghi, che rappresenti un’opportunità di rigenerazione economica, ambientale e sociale.

WWF Parma