Investire in Iren? Non ci pare il caso

Dalla community sono giunti diversi commenti sulla destinazione dell’avanzo di 33 milioni del Comune di Parma. I pareri sono unanimi nel valutare con molto scetticismo la possibilità che l’Amministrazione Comunale investa parte di questo tesoretto nel rimpinguare la quota azionaria nella multiutility Iren.

Pubblichiamo due lettere di nostri lettori e lettrici, giunte in redazione. Le firmiamo con le iniziali, come da richiesta.

Opere socialmente utili

Buonasera,

Condivido appieno il concetto da voi espresso in merito al reinvestire su azioni Iren: gli utili abnormi di quella partecipata sono stati raggiunti sulla “pelle” di noi cittadini. Capisco che la finanza non guarda in faccia nessuno, ma la Giunta comunale dovrebbe.

Detto ciò, quel tesoretto dovrebbe essere utilizzato, a mio parere, per realizzare opere socialmente utili (Case della Salute, scuole, piscine…) senza bisogno che siano  opere faraoniche: in tal senso, Parma ha già abbondantemente dato.

Una giunta si può anche ricordare per il buon lavoro fatto!

Ma soprattutto, che venga deciso presto come utilizzarlo: altrimenti rischiano di lasciarlo in eredità alla giunta successiva,  come, anche qui, se non erro, è già successo in passato.

Grazie per il lavoro che fate. 

M.T.

Puntiamo sullo sport

Ho letto con piacere l’articolo sul “tesoretto” del Comune di Parma. Giusto qualche riflessione in ordine sparso…

Mi fa sorridere l’idea di comprare azioni Iren. Da un punto di vista finanziario sicuramente un buon investimento, niente da dire. La società ha chiuso gli ultimi due bilanci con EBITDA superiore al 20%, risultato eccellente, e pagato ottimi dividendi (non ho trovato il bilancio per fare un calcolo preciso). È anche vero però che i dividendi vanno a restituire (piccola?) parte di quello che noi utenti paghiamo in bolletta… Siamo sicuri che Iren (42% flottante e il resto quasi tutto a Comuni vari) utilizzi le proprie risorse per i territori su cui opera? Mi obietteranno: capitalizziamo per investire e distribuiamo dividendi. Vero. Ma un percorso quale certificazione B-Corp e trasformazione in società benefit non renderebbe il tutto più  trasparente?

Perdona la divagazione.

Come investirei il tesoretto? Nello sport. Per i giovani e i meno giovani. Lo sport educa al rispetto degli altri e alla solidarietà, abitua a darsi obiettivi e a misurarsi con se stessi. Perchè non creare spazi dove si possa camminare, correre o fare esercizi all’aperto e in sicurezza? Nuove palestre, piscine e strutture multidisciplina?  Magari avendo anche riguardo che non diventino un concentrato di auto e smog come il campus? Una città dove si fa sport sarà una città dove si utilizzerà meno l’automobile (città sostenibile), si spenderà qualcosa in meno in spese sanitarie, si ridurrà la percezione di insicurezza. E sicuramente anche altro che dimentico.

Io partirei da qui, forse i benefici sono molto a lungo termine, ma a quello dovrebbe guardare la politica.

Un saluto, G.M.

Sanità, esami impossibili da prenotare. Perché non siamo arrabbiati sul serio?

Come sta succedendo a molti che cercano di prenotare una prestazione, anche a me è toccato restare pietrificata quando ieri, in farmacia, ho cercato di prenotare una ecografia. Due posti, uno in cui non potevo liberarmi, un secondo troppo avanti nel tempo. Poi, più niente fino al 2026.

Questo nonostante qualche giorno fa l’Ausl di Parma abbia vantato mirabilie sulla riduzione dei tempi di attesa (leggere il comunicato per credere).

L’ecografia in questione non richiede strumentazioni particolarmente sofisticate. O se le richiede, non c’è modo di saperlo. Saluto la farmacista, imbarazzata anche lei, e mi ripropongo di pensare un momento al da farsi. Sono già diversi gli esami e visite che di recente ho fatto privatamente. Da due anni, 4 su 5: persisto solo con gli esami di laboratorio.

Quindi questa volta mi premeva non soprassedere, usare il SSN, che sarebbe un diritto anche mio, pagando regolarmente le tasse da oltre 20 anni. Riprovo quindi da casa, sul fascicolo sanitario: volevo accedere anche alle strutture in provincia di Reggio Emilia, cosa che in farmacia non era possibile. Bene, per modo di dire. Nessuna disponibilità. Nessuna. Le due di poco prima erano sparite. Chiamo quindi la clinica privata dove ho fatto l’ultima, mi propongono martedì, per 100 euro.

Prima di accettare decido di provare la libera professione, dal fascicolo. Un avviso mi informa che la prestazione che cerco a Parma non c’è, posso andare su altre aziende: Romagna, Bologna, Ferrara, Modena, Reggio Emilia, Sassuolo, Piacenza… tutte tranne Parma. Va bene…per modo di dire. Ma in fondo, per me, andare a Reggio non è un grosso problema. Cerco, ed ecco la terza sorpresa: 4 opzioni ogni giorno, la prima a partire da 2 ore dopo. Subito, immediato. Costo: 55 euro. Sempre a Reggio Emilia, con il SSN non c’era nessuna possibilità.

Questo è solo uno dei tanti casi, potrei menzionare una visita dermatologica cercata a gennaio per la quale il primo posto era a febbraio 2026. Per mio padre, ultraottantenne. Risultato? Privato. Con la sua pensione, quando avrebbe diritto all’esenzione.

Sono certa di non essere vittima di una sfortunata congiuntura, ma di essere solo una delle tante, tantissime persone che sperimentano la negazione di un diritto, nel silenzio generale. Le conseguenze di questa negazione le possiamo anche elencare. La povertà è il primo fattore di rischio per la morte da tumore. Lo dicono le statistiche, non io. La diagnosi precoce serve anche per alleggerire, a tendere, lo stesso SSN, ma la stiamo delegando ai privati, di fatto selezionando solo chi può permettersela. Loro, noi, i fortunati, ingrassiamo il sistema di sanità privata, già bello che pasciuto grazie alle convenzioni. Gli altri, arrivano a farsi curare solo quando ormai è tardi.

Questo è la negazione concreta dei principi costituzionali in base ai quali in Italia abbiamo libero accesso alle prestazioni sanitarie, pagando un ticket sostenibile da chiunque, e avere quel sistema sanitario nazionale di cui andavamo tutti fieri, uno dei migliori al mondo. Ma soprattutto, è la negazione della salute, con il livello diagnostico possibile oggi.

Perché non stiamo scendendo in piazza a protestare contro questa vergogna enorme? Perché non siamo arrabbiati seri? Perché andiamo privatamente. La sfanghiamo ogni volta, obbiettivo raggiunto, e chi non se lo può permettere, si arrangi. In silenzio, viene smantellata la dignità di chi non ha voce o mezzi per fare rumore, che si ammala, ed è da solo.

Chiara Bertogalli

Camminare nella Memoria

La Resistenza nei luoghi dov’è nata

Il periodo che va dalla fine del ’43 all’aprile del ’45 non può essere relegato ad un semplice seppur importante capitolo della storia d’Italia, perché il coraggio delle donne e degli uomini che hanno deciso di opporsi alla dittatura può ancora rappresentare una preziosa lezione per le nuove generazioni, un invito a riflettere sui valori che definiscono la nostra società.

Anche quest’anno, per l’ottantesimo Anniversario della Liberazione, ci ritroveremo a commemorare coloro che hanno sacrificato la vita per difendere la libertà, la giustizia e la dignità umana. Ma perché è così importante ricordare la Resistenza? La risposta ha sicuramente a che fare con la necessità di mantenere viva la memoria storica, di onorare il sacrificio di chi ha lottato contro il fascismo e il nazismo, ma anche e soprattutto con l’urgenza di trasmettere ai giovani l’importanza di opporsi alle ingiustizie, di scegliere la pace, la democrazia, la vita.

La memoria della Resistenza non può tuttavia ridursi ad un esercizio nostalgico ma deve rappresentare un impegno quotidiano. Le guerre, le dittature e le forme di oppressione non sono fenomeni relegati al passato. Proprio per questo, attualizzare quel periodo storico significa imparare a riconoscere le radici del totalitarismo e dell’intolleranza, per non lasciarsi sopraffare da ideologie che minacciano i diritti e la libertà di tutti.

Oggi, a distanza di ottant’anni, abbiamo più che mai bisogno di riscoprire le storie di chi ha agito seguendo il richiamo della propria coscienza. Storie di donne e uomini, giovani e anziani, intellettuali e contadini, preti e militari, che in un momento cruciale della storia dell’umanità hanno deciso di stare dalla parte giusta.

La Resistenza come movimento popolare è andato ben oltre gli orientamenti politici, come dimostra la grande partecipazione delle comunità del nostro Appennino, in larga parte prive di qualsiasi impostazione ideologica. E proprio la nostra montagna rappresenta forse l’ultimo luogo dove è ancora possibile entrare in contatto idealmente con quei ribelli.  Tra sentieri nascosti, rifugi improvvisati, inverni rigidi e decisioni estreme, è lì che la Resistenza ha preso forma. Il nostro Appennino non è stato solo lo sfondo delle vicende partigiane, ne è stato protagonista. Chi ha camminato sui nostri crinali, chi ha sostato nei nostri boschi, sa che quei luoghi parlano ancora. Non con le parole, ma con il silenzio, con la fatica della salita, con l’eco di una storia che ha lasciato segni ancora visibili.

Resti di un rifugio partigiano nei boschi sopra Osacca

Se oggi i principi di “libertà” e “giustizia sociale”, di “democrazia e “solidarietà” sono sotto attacco, tornare in quei luoghi può aiutare, soprattutto le nuove generazioni, a capire che quello che diamo per scontato è stato invece il frutto di scelte concrete, spesso dolorose, di chi si è inerpicato prima di noi, per farci strada.

Marco Cacchioli

Nota della redazione: Marco Cacchioli è guida ambientale escursionista e conduce gruppi alla scoperta delle battaglie e di rifugi e sentieri partigiani in val Taro e val Ceno. Ha dato vita al podcast “La Resistenza in Valtaro e Valceno” in cui narra storie della guerra di Liberazione, andando a fondo anche di vicende controverse. Lo trovate su Spotify

Il degrado, la sicurezza, e la fascinazione del manganello

Dall’immortale “Bar Sport” di Stefano Benni: “democristiano, con paurosi sbandamenti fascisti quando le cose vanno male”.

Non trovo frase migliore per descrivere la deriva della comunicazione politica in questa interminabile, infinita campagna elettorale: un profluvio di “degrado” e “sicurezza”, parole e concetti tagliati con l’accetta, usati ad arte per randellare gli avversari, stuzzicare la pancia e la sempiterna fascinazione del manganello, a coprire un siderale vuoto di cultura, idee, progetti.

Anche se non ci sono appuntamenti elettorali imminenti, i toni dei media e della politica sono costantemente da comizio, e il degrado e la sicurezza sono le parole d’ordine più in voga. Quale degrado? Quello degli angoli di strada occupati da facce che non ci piacciono? Quello dei sacchi di spazzatura lasciati in giro da cittadini incivili oltre che da inefficienze del servizio di raccolta? Quello dei giovani che manifestano il loro disagio con comportamenti aggressivi? Sia chiaro, si tratta di problemi concreti, che le istituzioni devono affrontare e risolvere, mentre si rivelano troppo spesso inette e parolaie. Così come non si devono sottovalutare le preoccupazioni suscitate dagli episodi di spaccio, furti, risse e microcriminalità varia.
Ma davvero è tutto qui? Solo questo è degrado? Solo questa è la sicurezza di cui abbiamo bisogno?

Mi sembrano un gravissimo degrado i troppi gusci vuoti di cemento senza senso e senza futuro, orchi grigi che si mangiano pezzi della presunta food valley per soddisfare una bulimia palazzinara che non conosce requie.
Mi fanno sentire insicuro i protagonisti del saccheggio economico, urbanistico, morale e sociale della città, che pontificano senza pudore dall’alto di poltrone sempre nuove.
Vedo il degrado nell’ecatombe dei luoghi storici dove generazioni di parmigiani hanno conosciuto lo sport, abbandonati al loro destino da amministratori imperdonabilmente inadeguati.

Considero degrado della massima gravità il deserto dell’informazione, ormai ridotta a pochissime testate sempre più parziali, dedite a strepiti acchiappaclick, incapaci di uno sguardo laico e moderno, che abbandoni le categorie del XX secolo per aiutare i Cittadini a comprendere una realtà locale e globale in impetuoso cambiamento.
Mi sento insicuro di fronte a una classe dirigente che sembra incapace di futuro, ripiegata su rendite di posizione ereditate dal novecento, priva di una visione che vada oltre il perimetro del prossimo mandato amministrativo o del prossimo ricco appalto da spartire tra i soliti noti.

Forse il vero degrado è aver smesso di sognare una città giusta, verde, inclusiva. Forse la vera insicurezza è sapere che nessuno sta più progettando un domani condiviso, non con slogan, ma con visione, memoria e coraggio. Smettiamo di farci dettare l’agenda da chi sparge paura per spegnere il pensiero e governare con il manganello. È tempo di alzare la testa e riprenderci parole, strade, futuro.

Rolando Cervi