Parma – Milan 2-2, coi rossoneri son belle partite

Quante belle partite col Milan.

Intense, vibranti e tante, anche vincenti.

La doppietta di Melli a gennaio ’91 che ci portò in testa al campionato e lo 0-0 del ritorno che ci qualificò per l’Europa. Poi, la rovesciata di Baggio, il tacco di Adriano, l’esordio di Buffon, la rimonta a San Siro per la vittoria della supercoppa europea. E anche nelle annate sghembe, più volte sono saltati fuori risultati sorprendenti e positivi.

Ieri, le aspettative non erano granché. Forse sarebbe bastato evitare l’acquazzone e la tempesta di settimana scorsa. Noi, un po’ in disarmo: tecnico, tattico, emotivo, fisico. Loro, nelle posizioni altissime di classifica: lanciati, compatti, solidi, possenti.

E i primi venti minuti di gioco, sono andati in quella direzione. Un Parma timoroso, spaesato, passivo, molle, travolto quasi senza intenzione dai rossoneri nel silenzio protestante della curva sud occupata dai tifosi milanisti. Un gol e un rigorino: 0-2.

La rassegnazione pareva totale, completa, irreversibile. Per la squadra, per i singoli. Cinque minuti di recupero e saremmo stati contenti di non prenderne un altro. Palla avanti, un cross teso e sbagliato da sinistra che sta per finire in fallo laterale a destra. Invece, Britschgi corre, la salva, la passa al nostro 10 e Adrian sforna un tiroaggiro capolavoro.

Chissà quanto vale, pensiamo. Spesso, troppo spesso, i crociati rientrano leggeri dopo l’intervallo. Stavolta, no. Non è un assedio, ma ci crediamo. Mischia, un palo, una paratona, un fallo da mezzo rigorino non concesso, un paio di conclusioni che potevano avere più fortuna e qualità. E il terrore di prendere il KO del terzo gol in contropiede.

Invece, no.

Ancora lo svizzero lavora una bellissima palla, la crossa sul primo palo, dove il nostro capitano, Enrico Delprato, si inserisce con la rapidità bruciante di un fulmine tra tutti i difensori e il portiere e, di testa, la pareggia esplodendo di gioia e facendo detonare il Tardini in un boato fragoroso.

Ci crediamo e ci proviamo. E ci andiamo pure vicino, molto vicino. Ma è il Milan a sprecare due occasioni, che chissà Allegri negli spogliatoi.

Il calcio è così: imprevedibile, impronosticabile e bellissimo anche per questo. Ti amo anche quando pareggi (semi cit.).

PS: 40€ non è un settore popolare.

È uno degli striscioni di protesta esposti dai Boys, si riferisce al costo di un biglietto in curva nelle trasferte. L’altro era sull’assurdità di far giocare una partita del campionato in Australia (Milan-Como, in programma a febbraio).

Parma-Milan 2-2

Reti: 13’ Saelemaekers (M), 25’ rig. Leão (M), 45+1’ Bernabé (P), 58’ Delprato (P).

Sabato 8 novembre 2025, stadio Ennio Tardini. Spettatori totali 22.064 (di cui 13.081 abbonati e 3.500 ospiti) per un incasso totale di euro 563.130,22 (record assoluto).

Giallo & Blu 🟡 🔵

Parma-Bologna 1-3, sotto il diluvio

Le partite col Bologna hanno una intensità rara e nel corso della nostra carriera da tifosi sono state davvero tante quelle memorabili e questa non sarà da meno.

Ricordo da bambino quando i rossoblu retrocessero a sorpresa in C. Era una prima assoluta, un “derby” emiliano inedito.
Vennero a Parma a migliaia, era novembre. Rimasi incantato per lunghi tratti, dagli spalti dei distinti, a guardare le due curve: sature di persone, colorate di striscioni e bandiere, un volume altissimo per i cori e un’altalena di emozioni in campo con un pirotecnico 3-3 e mio nonno che mi disse “sa zughema acsí, andäma in B”.
A me già sembrava tanto avere il Bologna in C, chissà com’era la B e quante altre tifoserie importanti sarebbero arrivate.
E a fine anno, arrivò davvero la promozione.

In B, qualche anno dopo, sprovveduto adolescente in giro col mio sodale nei dintorni della curva fummo intercettati da un gruppo di bolognesi: non c’erano i filtraggi, i canali per le tifoserie ospiti se non i cortei dalla stazione, tutto era più allo stato brado. “Ehi, voi due, venite qua… Tirate via le sciarpe e datecele…
La protesta fu molto blanda: noi, due quattordicenni e loro un mezzo manipolo di giovani adulti. Mi viene ancora quasi da piangere e da stringere i pugni…

Sempre di quegli anni, trasferta felsinea in treno, al ritorno giravano voci di agguati lungo la massicciata e i passaggi a livello e così fu. In scompartimento, oltre a noi ragazzini, qualche Boys più stagionato che passava “Aprite i finestrini e tirate giù le tende: se tirano i sassi non si spaccano i vetri e i giaroni rimbalzano via…” e in effetti, così fu.

L’apoteosi, però, fu nel 2005, l’anno dopo il crack Parmalat. Stagione surreale, con la primavera che gioca la coppa Uefa e arriva fino in semifinale e in campionato si stenta, sempre in fondo alla classifica e lo spettro della retrocessione.
Tante squadre coinvolte, bagarre finale, pari punti, spareggio col Bologna.
Andata sotto l’acqua, molti squalificati, tifo infernale, si perde 0-1. Speranze poche, ma c’è un entusiasmo insolito, nonostante il rischio di batosta sportiva e morale, a Bologna è un esodo. A distanza di qualche giorno scoppia l’estate, un caldo padano asfissiante, la sud gremita di gialloblu, un tifo assordante, una partita epica, una rimonta esaltante, un trionfo insperato e meraviglioso. Salvi. Era il 19 giugno 2005,una delle date simbolo del Parma e di Parma.


Ieri, il gol di Bernabé dopo 13 secondi ci aveva portato a credere e sperare in una nuova epica serata, invece no.
La partita ha preso poi un’altra direzione, ma resterà comunque nella memoria.
In attesa di uno stadio nuovo chissà quando e dove, piuttosto che l’ennesima ristrutturazione, ieri, per mezz’ora, è sceso il diluvio universale. Per i poco avvezzi: le tribune hanno il tetto ma le curve sono a cielo scoperto.
Pioveva così forte, a tratti, che i goccioloni facevano male sulle spalle, c’erano tuoni e fulmini e lampi e il Parma perdeva e senza apparente possibilità di recupero.
È stata la mezz’ora di tifo più vivo, puro, intenso, scatenato, un trasporto totale di pura passione.
Di ritorno, il piccolo Blu mi ha girato un video.
Lui e i suoi amici cantano e saltano, i ciuffi gocciolanti, le felpe intrise d’acqua, i volti lucidi di pioggia, le sciarpe incollate ai colli e dei sorrisi bellissimi.
Quelli di chi sa d’essere per quella mezz’ora nel proprio posto giusto nel mondo: in curva, tra amici, il cuore che batte sincrono, la stessa passione, la bellezza d’essere insieme,un soffio d’eternità che rimarrà.

Giallo & Blu 🟡 🔵

Parma – Como 0-0, Difesa arcigna e pensieri australiani

Anche questa settimana, niente curva per il Grosso Giallo.
Mentre il Piccolo Blu è immancabile sui gradoni subito dietro la porta.

Ci sentiamo con qualche messaggio durante la gara, mentre uno è a lavorare e uno a tifare.
E poi ancora a fine partita.

I presupposti, dato il momento brillante del Como e la condizione non esattamente scintillante del Parma, non erano quelli di una cavalcata trionfale. Anzi. Però s’è portato a casa un punto pesante, la porta è rimasta nuovamente inviolata e per due partite consecutive, cosa che in questi ultimi anni non è stata esattamente la norma.

A entrambi è piaciuta molto, in realtà, ancor più della prestazione comunque positiva, la bella conferenza stampa del nostro giovanissimo allenatore.
Pressato dai risultati non eccellenti e dal gioco non propriamente strabiliante, si è prodotto in un’analisi lucida e articolata come raramente succede negli scambi tra giornalisti e tecnici.
Spesso sono chiacchierate immutabili da decenni, condite di luoghi comuni e banalità.
Cuesta si sottrae volentieri e cerca di esporre il proprio pensiero e di distinguere la sua figura professionale, cioè il lavoro che è qui a fare e per cui è pagato e la sua idea e visione di calcio.
Ammette che la squadra non gioca un calcio entusiasmante, ma che l’obiettivo è il mantenimento della categoria e non il calcio spumeggiante e trascinante, almeno non ora. Quindi, la costruzione della squadra è al momento molto rivolta verso i fondamentali di difesa, a guadagnare sicurezze, solidità, affiatamento, coesione. Proprio per portare a casa quei punti essenziali, vitali, per non scivolare troppo verso il basso della classifica e farsi travolgere dalle ansie della serie B.
Insomma, in curva il Parma non ruba gli occhi per fantasia, estro, velocità, spettacolo; ma quando Carlos parla, ci sembra credibile, autorevole e degno di fiducia. Vedremo.
Lui, passerà: per continuare la sua carriera verso prestigiosi lidi, in caso di successo oppure verso altra gavetta, per provare a rilanciarsi in caso di insuccesso. Noi, invece, saremo sempre qua.
Con un po’ di frustrazione crescente e diffusa.
Quella della frammentazione del calendario, che porta noi adulti lavoranti a perdere un numero considerevole di partite ogni anno. Venerdì, sabato, domenica, lunedì; e poi i turni infrasettimanali. Le 12.30, le 15.00, le 16.00, le 18.00, le 18.30, le 20.00, le 20.30, le 20.45 e poi chissà cosa ancora… Praticamente, è impossibile starci dietro. E fa strano, perché il calcio era proprio il rito laico italiano per eccellenza. E i riti hanno, devono avere, le loro liturgie, le loro forme e le proprie cadenze. La Coppa Italia ad agosto, il campionato da settembre, le coppe europee il mercoledì, gli orari stagionali che variavano al passaggio tra ora solare e legale e l’immancabile domenica.

Ormai non è e non sarà mai più così.
Ma il limite dov’è? Sette giorni su sette? 24 ore su 24? Mercato tutto l’anno, coppe e campionati e nuove leghe e ancora altri tornei in una saturazione che ormai sfianca.

Già, qual è il limite?
Per ora, l’Australia, in cui si giocherà una partita del prossimo campionato per evitare la concomitanza della cerimonia d’apertura dei Giochi Olimpici a Milano.
In un crescendo, ridicolo, di retorica in cui i dirigenti vedono il male del calcio nelle persone che rubano le dirette televisive, nelle proteste dei tifosi, nello scarso sostegno delle istituzioni nazionali (che permettono indebitamenti per i quali qualsiasi altra società sarebbe stata dichiarata fallita)  e non nelle loro scelte atte sempre ad ampliare una torta ormai indigesta e ad allontanare i tifosi a favore dei consumatori o dei turisti del pallone.
Oggi, il limite pare essere l’Australia; domani, magari, la luna, Marte o Giove?
Il calcio, rimane quello dei sentimenti, delle relazioni, dei cori, dell’euforia per un gol, del cuore in gola, del batticuore per un’azione avversaria in area, delle chiacchiere a partita finita mentre lo stadio si svuota, degli abbracci quando ci si rivede dentro il Tardini.
A dispetto di tutto e di tutti.

Giallo & Blu 🟡 🔵

Genoa-Parma 0-0, trasferta vietata

Trasferta vietata: era nell’aria.
Gli scontri di Cremona, il gemellaggio tra Boys e Ultras Tito Cucchiaroni della Sampdoria hanno fatto prendere questa decisione alle autorità. È sempre una notizia dolorosa, specie per certe partite.

Genova non è lontana, offre lo spunto per qualche gita e sosta enogastronomica gradita e in più la visuale dallo stadio è tra le migliori d’Italia e c’è il già citato gemellaggio ma con l’altra squadra genovese.

Le trasferte, il tifo organizzato hanno subito una evoluzione considerevole negli ultimi decenni.

Negli anni ‘60 e ‘70 erano qualcosa di quasi esotico: non ci si spostava per andare a vedere la propria squadra, ma per una domenica fuori città, l’occasione per provare qualche ristorante di grido o al limite era un’appendice a una visita parenti.
Già dagli anni’80, invece, la presenza dei tifosi in trasferta aumenta e diventa qualcosa di fortemente identitario: portare i proprio colori e cori a sostegno dei crociati, anche lontano dal Tardini, e dimostrare lo spessore e qualità del proprio tifo.

In quegli anni e nel decennio successivo, è diventato un’occasione di scontro fisico: cercato, desiderato e talvolta addirittura necessario, con quella volontà un po’ tribale e primordiale di vendicare torti o assalti precedenti.
In una domenica in cui a Rieti dei delinquenti travestiti da tifosi si sono macchiati di un assassinio assurdo e ingiustificabile, a latere di una partita di basket di serie A2, è oltremodo complicato parlare di questi argomenti.
Ma oltremodo necessario, perché quasi nessuno lo fa; se non per dire, appunto, basta violenza negli stadi.

Però, e c’è sempre un però in questo mondo complesso, bisogna poi avere a che fare con la realtà.
Lo stadio, è un luogo dove la violenza è una eventualità; non come scelta preordinata, ma come evento che possa accadere. E a cui si deve essere preparati.

Ultimamente non lo sono le forze dell’ordine, incapaci di gestire masse, folle, provocazioni; e talvolta con responsabilità non indifferenti.
Anche qui, ricordo da ragazzo, sia durante le trasferte che in casa, le FFOO che accompagnavano, si relazionavano alla pari con i tifosi, in una sorta di collaborazione; perfino la Digos sceglieva sempre il dialogo, rispetto alle altre possibili opzioni.
Si viaggiava in treno su convogli dedicati, che erano sì dei terreni franchi con diverse norme civili sospese; ma in cui raramente succedevano disastri.
Oggi, nella stragrande maggioranza delle occasioni (ci sono per fortuna salvifiche eccezioni), il tifoso è trattato come bestiame: incanalato, controllato, marchiato, direzionato e, soprattutto, obbligato a tutto. Codici, numeri, biglietti nominali, tessere del tifoso e quant’altro, salvo poi, in caso reale di problemi o scontri, fare sempre fatica a identificare i colpevoli, per non parlare delle dinamiche.
A Cremona, qualche settimana fa, ci siamo trovati in macchina nel bel mezzo degli scontri: avere avuto esperienze pregresse, sapere come muoversi, cosa fare oltre ad avere ben chiaro cosa non fare è essenziale per evitare sia di prendere due sberle (o ben peggio), sia di essere arrestato e incriminato come facinoroso senza alcuna responsabilità. Nel caso, ad esempio, siamo stati imbucati, da indicazioni errate delle forze dell’ordine, in una zona praticamente non presidiata.

In passato, è successo spesso di dover fare fronte ad assalti e agguati, in treno ad esempio o in zone limitrofe allo stadio. Ricordo sempre gli anziani, più esperti, in primis, a proteggere noi ragazzini, a insegnarci come abbassare i finestrini e tenere tirate le tende; insomma, a limitare i danni.

Una sorta di legge della strada. Però ho sempre sentito questa sorta di responsabilità dei grandi nei confronti dei piccoli, dei vulnerabili, dei deboli e poi, di insegnare le regole, di come non prenderle, di come non farsi male, di come non farsi fare male.

Anche questo, è essere famiglia; una famiglia magari strana e disfunzionale in diversi aspetti; ma che da fuori, in pochi conoscono o vogliono conoscere.

Così come i legami d’affetto, di fratellanza che si sviluppano nel corso degli anni, più di trenta per esempio, tra i gialloblù e i doriani. E ogni volta che ci si trova è una grande festa, fatta anche di sacrifici, di impegno, di sostegno, volontariato e volontà.

Ieri, nessuno dei due ha visto la partita: uno, perché impegnato sul campo da gioco con gli amici nel campionato allievi; io, a Teatro Due, a condividere la sofferenza di non sapere nemmeno il risultato con il già citato Paolo Nori.

Che nel suo spettacolo ha detto, tra le altre, una cosa che mi è piaciuta moltissimo: la scrittura, quella bella, non dovrebbe servire a rendere visibile, l’invisibile; ma a rendere visibile il visibile, ossia ad aprirci gli occhi su quello che ogni giorno abbiamo già davanti al nostro sguardo. Ecco, secondo me, la curva è un po’ così: solo una parte, certi aspetti sono visibili e fanno notizia; gli altri, sembra interessare o esistere solo per chi c’è e vede e guarda ogni giorno.

Sul match, a maggior ragione, peccato non esserci stati a questo Genoa-Parma: evitare la sconfitta parando un rigore a tempo scaduto, dà una certa scarica di adrenalina e una certa soddisfazione.

Genoa-Parma 0-0

Domenica 19 ottobre 2025, stadio Luigi Ferraris in Marassi di Genova, spettatori 30.636 (di cui abbonati 28.101 e paganti 2.535; no ospiti). 

Giallo & Blu 🟡 🔵

Parma-Lecce 0-1, a proposito di sconfitte

Ci incrociamo, come ormai d’abitudine, sotto i gradoni della Nord.
Ci riconosciamo da lontano e sorridiamo, ci abbracciamo stretti, avvolti nelle nostre sciarpe.

La mia è un reperto storico: una Crusaders originale del campionato 86-87; lui invece ne porta una molto diffusa oggi, specie tra i più giovani: dio-stramaledica-i-reggiani.

Sta distribuendo i volantini con il consuntivo annuale dei Boys1977, il gruppo del tifo organizzato. Non ha importanza soffermarsi su numeri e pensieri, giudizi e prospettive, quanto sulla chiusura: Parma siamo noi!

Così, a caldo, può sembrare una frase esagerata, autoreferenziale, roboante. E forse lo è. Però, poi, a guardare bene…

Le proprietà si avvicendano non sempre lasciando un buon ricordo (Tanzi, Ghirardi, Manenti ecc); per non parlare dei giocatori: oggi qui, domani chissà; stessa sorte per le guide tecniche. Anche gli sponsor sono ormai ballerini.

Le rose non sono più composte da giovani della provincia e dintorni, cresciuti nelle giovanili.

A conti fatti, se dovessimo trovare una costante, un vera coerenza, davvero forse bisognerebbe guardare in curva.

Parma, è una città dalle mille peculiarità e vale anche per il calcio.
Se non sono poche le società che, un po’ per convinzione, un po’ per convenienza hanno ritirato la maglia 12 dalla numerazione disponibile, in onore del dodicesimo uomo in campo, ovvero il pubblico, pochissime sono le tifoserie che cantano esclusivamente per la squadra e non per i giocatori.

È una rarità nel mondo del pallone, che facilmente s’innamora del centravanti da 20 gol, del portiere saracinesca, del fantasioso trequartista o del giovane di belle speranze.
E questo, ovviamente, succede ancora, anche a Parma.
Ma per scelta ormai antica, nessuno intona cori con i nomi dei giocatori.

La storia fuori dalla curva non è così conosciuta: qualche lustro fa la Parmalat è stata più o meno lecitamente proprietaria non solo del Parma, ma anche di un’altra società situata immediatamente oltre il confine orientale del fiume Enza. Quella squadra navigava verso il fondo della classifica e nel recupero infrasettimanale di una partita di campionato riuscì a battere agevolmente un Parma particolarmente remissivo per 2-0.

Da quel momento, i cori si sono diradati, la fiducia verso i giocatori crollata e ha iniziato a svilupparsi un sentimento molto forte per i colori, che andasse ben oltre i singoli, per quanto apprezzati, interpreti.

Oggi, nemmeno prestazioni sfavillanti, promozioni o exploit riescono a rimettere in bocca ai tifosi i nomi stampati sulle magliette per canti condivisi e scanditi.

Uno dei cori più sentiti, per quanto non spesso proposto, sulle note di Maledetta Primavera cantata da Loretta Goggi recita proprio “chissenefrega giocherà la Primavera, ci basterà veder la maglia per cantare ancora”.

Anche per questo, forse, il momento in cui siamo ripartiti dalla D è stato davvero un anno zero, molto bello. In cui il calcio, il tifo, i colori, la passione, la partecipazione erano sopra qualsiasi altro aspetto. Lo certifica il numero spropositato di abbonamenti, non solo agevolato dal costo irrisorio, ma anche la partecipazione massiva alle trasferte esotiche di Arzignano, Chioggia, Brescello, Carpi e via dicendo.
Da lì, credo che il seme della crociata, la maglia, abbia trovato terreno fertile in tanti bambini che oggi sono ragazzi che sventolano bandiere e cantano a squarciagola nella Nord.

Detto questo la passione per il singolo resta strisciante e in curva, le magliette sono tantissime.
Ci sono le crociate, le besione (quelle a righe orizzontali gialle e blu), le prosciutte (quelle degli ultimi anni di C e B e la prima storica A), molte, naturalmente, le ultime versioni commerciali e, a onor del vero, poche sono quelle anonime, senza il nome di un qualche giocatore.

Tante quelle degli attuali interpreti, con prevalenza di Del Prato e Bernabè; alcune del recentissimo passato: Bonny, Man, Mihaila; qualche giovanissimo come Circati o addirittura Corvi e Plicco (tra i pochissimi pramzani-parmensi allevati in casa); ovviamente tante che riportano alle pagine gloriose con Cannavaro, Thuram, Veron, Chiesa, Crespo, Dino Baggio (prima o poi, di lui dovremo scrivere, perché è il vero e più profondo idolo della Nord) come della clamorosa cavalcata guidata da mister Nevio Scala: Benarrivo, Di Chiara, Grün, Brolin. O di chi ha scelto di rimanere, sempre e comunque, come Lucarelli.

Ma quello che non smette mai di stupirmi, è la marea di casacche dedicate agli eroi minori.
Perché il calcio, il tifo, la curva, è esattamente questo: qualcosa di viscerale, ancestrale, insondabile, che tocca corde della sensibilità personale spesso incomunicabili, incomprensibili, inavvicinabili.
A volte, sul nome o il numero c’è l’autografo e allora ci sta anche il valore del momento, del ricordo, del cimelio.
Ma in certi casi, è solo poesia del calcio: Brugman, Brunetta, Schiappacasse, Siligardi, Potenza, Kutuzov, Lanzafame, Grella, Paponi, Gasbarroni… con la consapevolezza che è un elenco senza fine e che potrebbe scatenare ricordi indelebili, quelli che, esattamente a ogni occasione, ci riportano in curva, a sostenere i nostri colori e la nostra città.

Di Parma-Lecce, cosa dire?
Ci affidiamo alle parole di un grandissimo tifoso del Parma, che incrociamo spesso sui gradoni e che leggiamo sempre con enorme piacere, Paolo Nori: “A me, piacciono molto due cose che fanno piangere: la letteratura russa e le partite del Parma”.

Parma-Lecce 0-1 (Rete: 38′ Sottil)

Sabato 4 ottobre 2025, Stadio Ennio Tardini, 19.580 spettatori (di cui 13.081 abbonati e 3.179 ospiti) 

Giallo & Blu 🟡 🔵

Parma-Torino 2-1, al lunedì ha un altro sapore

Io salgo, dietro la porta, proprio in mezzo, sugli scalini come quand’ero ragazzino; lui resta giù, a due passi dal campo, dove la partita si sente, più che vedersi.
Il sole tramonta, in quella parte di settembre sospesa tra l’ultimo calore e il primo freddo.

È lunedì.

Non ricordo neanche bene, tolte le coppe, qual è stata la mia prima partita infrasettimanale, o meglio, non di domenica.

Il calcio, la partita, un tempo che sembra ormai remoto, era un rito e come tale codificato.
Si giocava la domenica, gli unici esotismi erano gli orari: alle 15 in autunno, 14.30 durante l’inverno, le 16.30 per il finale di stagione, coi primi caldi.
La televisione, i gol, si vedevano a 90°minuto, Tele+ era un progetto davvero lontano; figuriamoci tutto il resto.

Giocare nei feriali voleva dire recupero di una qualche partita sorprendentemente rinviata. Per neve, nebbia, cataclismi.

Il calcio, non certo da solo, non certo unico, è lo specchio dei tempi, un’evoluzione continua e costante e una sorta di saturazione del tempo e dello spazio.

Sono comparsi gli sponsor sulle maglie e in breve sono diventati onnipresenti: non solo sul petto, ma su maniche, pantaloncini, wall delle interviste.
Ogni cosa è sponsorizzata, brandizzata e rinnovata annualmente: pallone, magliette diverse per allenamento, riscaldamento, match. Bevande, tempo libero e l’immancabile pubblicità su cartelloni rotanti e maxi schermo.

E poi la numerazione, che andava dall’1 all’11 in rose che avevano 16 giocatori e una formazione titolare che si imparava facilmente a memoria nelle prime uscite stagionali.
Oggi, invece, i numeri arrivano al 99, ciascuno ha i nomi stampati sulle spalle, le rose sono formate da un numero ampio e quasi imprecisabile di ragazzoni che vengono da ogni parte del mondo, mentre una volta, nemmeno troppo indietro, gli stranieri erano tre (addirittura due, anche uno e prima ancora perfino vietati!), mentre oggi sono la quota di maggioranza in ogni formazione e roster. La formazione è diversa ogni tre giorni.

Se da un lato è inevitabile la nostalgia per la mia gioventù e i giocatori del Parma di Nevio Scala che arrivavano in bicicletta per allenarsi in Cittadella, dall’altro ci sono cose che non cambiano davvero mai. E sono sprazzi di puro istinto.

Non capita a ogni partita, ma ci sono dei momenti, in cui i cori sembrano davvero prendere, sollevare la squadra e portarla oltre. È appunto un momento raro, in cui lo stadio si esprime con una voce sola, e tutto il Tardini si infiamma a sostenere, a sorreggere, a spingere la squadra.

Ieri i crociati sono scesi in campo con la terza maglia, quella che richiama nella foggia e colori la storica promozione in A e i primi successi nazionali e internazionali (bianca con righine gialle e blu sulle maniche e le spalle).

Ma a lungo, hanno sofferto la predominanza del Torino. Tante volte, in queste situazioni, il pubblico rumoreggia, indisponente, indisposto, indispettito.
Del resto, siamo la città del brusio dal loggione per ogni sporcatura operistica.

Ieri no, tante volte, anche partendo dalla tribuna, dai distinti oltre che dall’immancabile curva, i battimani, gli incitamenti, i cori si sono ampliati, ingrossati fino a diventare una sola voce, un solo grido a sostegno.

In quei momenti, ci si sente parte di qualcosa di più grande di sé, del proprio istinto di tifoso, ma si diventa altro, un altro che non so nemmeno definire, ma di cui è bellissimo far parte. Forse anche di più che abbracciare sconosciuti, saltare sulle spalle di vicini mai visti, urlare a perdifiato, disarticolare i propri movimenti ancestrali, in una sorta di ipnosi meravigliosa.

Insomma, davvero, ti amo anche quando vinci.
E ieri, s’è vinto col cuore.

Parma-Torino 2-1 ( Reti: pt 36′ (rig), st 32′ Pellegrino, st 4′ Ngonge).

Stadio Tardini, 29 settembre 2025

Giallo & Blu 🟡 🔵

Cremonese-Parma 0-0 “Ti amo anche quando vinci”

Cremonese-Parma è la nostra prima partita dell’anno, serie A, stagione 2025/26. Un esordio che ha richiamato alla mente altri inizi, indelebili.

La mia prima partita è stata Parma–Carrarese 2-0 nel campionato vittorioso del 1983-84 (serie C). Quella di mio figlio, Parma-Ascoli 4-0, in altro campionato finito con una promozione nel 2017-18 (serie B).

A distanza di anni, parlandone, abbiamo scoperto che per entrambi, le prime partite, hanno un sapore e un ricordo speciale, ma soprattutto una dinamica unica.

I primi dieci, quindici minuti passati ad ammirare la curva, rapiti dai cori, dai tamburi, dai fumogeni e dai colori. Qualcosa di magico e ancestrale, per certi aspetti inspiegabile.

Mio nonno mi portava nei distinti, e così io per le prime partite del mio piccoletto.

Poi, mi sono spostato progressivamente in curva con gli amici; mentre mio figlio, al termine di un campionato vissuto sul lato lungo del campo mi ha chiesto “Però, l’anno prossimo l’abbonamento, possiamo farlo in curva nord?”.

Chi racconta il calcio, lo fa quasi sempre dalla tribuna: giornalisti, intellettuali, appassionati.

C’è poco, da noi, in Italia, raccontato dalla curva.
Forse figlio, anche, di un pregiudizio storico, in cui si pensa che il tifo organizzato sia soprattutto violenza, scontri, assenza di regole, ricerca di impunità.
Che, talvolta, è anche quello, ma non solo.

Per me è stato, ad esempio, un luogo di emancipazione e libertà, dove essere accolto, mai giudicato e potermi esprimere senza maschere o forzature.
Per lui, anche: la scoperta di socialità, responsabilità e autonomia, tra le altre cose.

La curva è una società nella società, con riti e miti fondativi e una composizione particolarmente eterogenea che poi si riunisce attorno a valori comuni e una sorte di identità ben definita.

In un tempo in cui socialità, comunità, identità e valori stentano ad affermarsi con fermezza e chiarezza, a noi la curva continua a sembrare un posto bello, nonostante alcune ovvie storture.
E, senza dubbio, un luogo dove passione e fede si professano continuamente e settimanalmente.

Parma è una delle curve più giovani del calcio italiano: piena di ragazzini dai 12 anni in su. Alcuni entrano coi genitori e poi si staccano; altri, già intorno ai 14, arrivano insieme con i propri coetanei e sono impegnati non solo nei canti, ma anche nelle coreografie e nelle varie attività della curva. Con una quota non trascurabile di ragazze.

In un mondo adolescenziale sempre più virtuale, immateriale o eccessivamente materiale di ricerca di lusso, successo, affermazione spesso rapida e non sempre pienamente motivata guidata dai social, la curva resta una interessante eccezione.
Dove voce, grida, mani, occhi e cuore hanno ancora la meglio su uno schermo.
Anche al di là, molto al di là, dei risultati sportivi, sintetizzato splendidamente in uno degli stendardi in cui oggi tantissimi si riconoscono “Ti amo anche quando vinci”.

Non voglio, non vogliamo, avere pretese di analisi sociologiche né politiche, ma offrire un punto di osservazione altro e diverso rispetto al mondo del pallone.

Ieri ci siamo fatti 10 ore in giro, per una partita di due ore e sessanta km tra andata e ritorno; sintesi di passione e della atavica precarietà e impreparazione e vessazione del nostro Stato: nessun coordinamento tra le varie Forze dell’Ordine per la gestione del corteo in arrivo da Parma, l’infiltrazione dei tifosi granata arrivati da Reggio Emilia, gemellati coi cremonesi, che hanno causato diversi scontri; l’interminabile attesa all’ingresso e all’uscita dello stadio e del parcheggio dello stadio; il calore squagliante di una curva datata e completamente esposta al sole, il costo ormai fuori controllo dei biglietti delle partite per le trasferte, condito da ingiustificabili costi extra come quelli del parcheggio ospiti; per non parlare della disorganizzazione e dei costi dei bar dentro gli stadi, al limite dell’estorsione e del sequestro di persona.

Eppure, ogni settimana, non vediamo l’ora di metterci la sciarpa al collo e avviarci verso il Tardini o gli altri stadi lungo la via, tenendo per mano i nostri figli e nipoti.
Chiacchierando con gli amici, sorridendo alle persone che nel corso degli anni sono diventati volti familiari con cui condividere alcuni momenti significativi del nostro tempo.
Confrontandoci, o prendendoci in giro, ridendo di battute sagaci o sguaiate, gridate a pieni polmoni.
E talvolta abbracciandoci in maniera travolgente, spontanea, selvaggia e libera.

Poi, ovviamente, c’è anche la partita. Finita 0-0. Per oggi, la parola la lasciamo a chi ne capisce, di calcio.
Ci risentiamo dopo Parma-Torino. Di lunedì, alle 18.30. Così, per dire.

Giallo & Blu 🟡🔵