Pums: un primo sguardo tra qualità tecnica e contraddizioni

Uno degli strumenti di pianificazione che più impattano sul quotidiano di tutti i cittadini è il Piano Urbano della Mobilità Sostenibile (PUMS), recentemente adottato dalla Giunta Comunale di Parma.

Diamo tutti per scontato di doverci muovere quotidianamente per studio, lavoro, svago o altre necessità, ma in genere non ci preoccupiamo di come è pensato e progettato il sistema che soddisfa questo nostro bisogno. La mobilità non è una questione solo tecnica, al contrario, è una delle dimensioni che più profondamente plasmano la qualità della nostra vita. Eppure, troppo spesso i cittadini tendono a delegare questi temi agli specialisti, senza coglierne l’effetto sulla loro esistenza.

Un’analisi più approfondita del nuovo PUMS potrà avvenire solo dopo la presentazione ufficiale prevista per la prossima settimana e, soprattutto, alla luce dell’esito delle osservazioni che dovranno essere depositate entro metà giugno. Nel frattempo, una prima lettura dei documenti — centinaia di pagine dense di analisi e proposte — consente già alcune riflessioni. La delibera di giunta che adotta il PUMS è dello scorso 2 aprile e la trovate qui.

Il nuovo PUMS di Parma si presenta come un documento tecnicamente solido, certamente più maturo rispetto a quello del 2017, uno dei primi redatti in Italia.

I principi generali e molte delle misure previste appaiono pienamente condivisibili, poi si tratterà di capire con quale investimento economico e politico si cercherà di implementarle, ma certamente la prima impressione è complessivamente favorevole: si parla di incentivare il trasporto pubblico, la mobilità ciclabile e quella attiva in generale, con l’obiettivo dichiarato di ridurre l’uso dell’auto privata. A oggi, oltre la metà degli spostamenti urbani a Parma avviene ancora in automobile, una percentuale troppo elevata che è indispensabile ridurre.

Tuttavia, il documento presenta anche alcune contraddizioni su cui è giusto riflettere. La più evidente riguarda il progetto Via Emilia Bis, indicata come opera acquisita nonostante l’iter autorizzativo e progettuale sia appena agli albori. Ancora più sorprendente è che l’analisi di scenario preveda che questa infrastruttura intercetti anche parte del traffico autostradale della A1, un controsenso totale. Le autostrade esistono proprio per drenare traffico dalla viabilità ordinaria, se succede l’inverso c’è decisamente qualcosa che non va.

Un secondo elemento critico è l’aumento previsto della velocità media in città al 2030-2035. Questo dato contraddice l’obiettivo, citato più volte nel piano, di implementare misure di mitigazione della velocità, fondamentali per aumentare la sicurezza stradale. Più velocità non significa solo più rischio, ma anche imboccare una strada contraria rispetto alle buone pratiche europee. Una recente ricerca ha evidenziato che ridurre di un solo chilometro orario la velocità media a livello europeo potrebbe salvare oltre 2.000 vite all’anno. Bologna, che ha implementato il progetto “Città 30” nel 2024, ha ridotto la velocità media nel territorio comunale di soli 2 km/h, eppure ha visto dimezzarsi le vittime della strada. Per questo, non solo l’obiettivo di aumento della velocità appare difficilmente ottenibile, ma soprattutto non desiderabile. Il giusto obiettivo di aumentare la fluidità del traffico non può e non deve generare più velocità, ma più sicurezza.

Un piano di mobilità del 2025 deve avere il coraggio di affermare con chiarezza che la velocità nel tessuto urbano va ridotta. Non è solo una scelta tecnica, è una scelta di civiltà che, dati alla mano, salva la vita delle persone.

Rolando Cervi

Pd a congresso. Disputa per il nuovo segretario

Entra nel vivo la fase congressuale territoriale del Partito Democratico che rinnoverà gli organismi direttivi e, soprattutto, i segretari.

La Direzione regionale del partito ha deliberato che i congressi di circolo dei Dem si tengano tra il 15 maggio e il 15 giugno. Le candidature a segretario regionale devono essere depositate entro il 6 maggio. Ogni Federazione provinciale è demandata a decidere al proprio interno date e procedure.

È probabile che la quasi totalità dei congressi a Parma e provincia si terranno in giugno.

Ma chi saranno i nuovi segretari provinciale e cittadino di Parma?

Le candidature “forti” di Andrea Massari (consigliere regionale ed ex sindaco di Fidenza) per il provinciale e di Francesco De Vanna (assessore comunale) sono tramontate nel giro di un mattino. È stato sufficiente richiamare ai distratti l’articolo 21 dello statuto del Pd che definisce le incompatibilità tra cariche istituzionali e di partito.

Nei casi specifici: un consigliere regionale non può candidarsi a segretario provinciale; un assessore di un grande comune, superiore a 50mila abitanti, non può candidarsi a segretario cittadino (e nemmeno alla carica provinciale).

In teoria si potrebbe derogare ma entrambe le aree politiche che dirigono il partito (Schlein / Bonaccini) sono propense ad evitarle perché basterebbe un caso, sul territorio regionale, per aprire una cascata di richieste.

E allora – stando alle voci raccolte in queste fasi preliminari – si profila una conferma a segretario provinciale per Nicola Bernardi che dovrebbe essere candidato unico.

Più aperta la discussione per la segreteria cittadina che avrà un’importanza relativamente elevata tra un paio d’anni, alle elezioni amministrative, con l’uscente Michele Vanolli che passa la mano.

In questo momento le carte sono ancora coperte, sfumato De Vanna, circolano come papabili i nomi di due consiglieri comunali che sarebbero in competizione: Gabriella Corsaro e Manuel Marsico, rappresentanti di anime politiche diverse. È ancora presto però e l’intenzione dei dirigenti è quella di convergere su una candidatura unica anche per la città, per non creare fratture. Nel gioco degli equilibri su scala regionale, la candidatura cittadina potrebbe essere espressione dell’area Schlein.

A proposito di regionale, per la carica di segretario PD Emilia-Romagna si va verso una riconferma di Luigi Tosiani.

Il Comune di Parma scopre un tesoretto di 33 milioni. Sarà investito in azioni Iren?

Il Comune di Parma si ritrova con un tesoretto di 33 milioni di euro, frutto di un avanzo di bilancio. La delibera è stata approvata lunedì scorso in consiglio comunale.

E adesso l’Amministrazione Comunale deve decidere come spenderli o, meglio, investirli.

La notizia è passata quasi inosservata e, comunque, decisamente sottostimata.

In tempi di magra ritrovarsi in casa 33 milioni pronta cassa è una bella soddisfazione per il sindaco Guerra che, a metà mandato, si trova nell’invidiabile condizione di poter dare un colpo d’ala al quinquennio e proprio su questo aspetto si aprono diversi scenari.

Di primo acchito l’intenzione, tra le fila della maggioranza che amministra il Comune, era quella di comprare azioni Iren con un duplice effetto: garantirsi un dividendo maggiore ogni anno, utilizzabile per la spesa corrente, e aumentare il “peso” politico nella multiutility. Col passare dei giorni tuttavia sono emersi altri ragionamenti e, se così possiamo dire, altri “appettiti”.

Ma procediamo con ordine.

La novità di un avanzo eccezionale ha cominciato a circolare a metà marzo. A inizio aprile è divenuta certezza con la delibera di giunta che ha assunto il bilancio consuntivo 2024 sottoposto infine al consiglio comunale per la ratifica lunedì 28 aprile: delibera approvata con 18 voti favorevoli della maggioranza e 5 contrari delle opposizioni.

È stato il grande momento di Marco Bosi, assessore al bilancio, che ha presentato i conti soddisfatto ma con understatement, senza enfasi. Potete ascoltarlo, e vederlo, nella relazione esposta al consiglio comunale (qui il punto esatto)

Bosi ha introdotto il bilancio dicendo che è rientrato l’allarme sul costo dell’energia ma nel biennio l’inflazione è stata del 13% ed ha portato, per gli stessi servizi erogati, ad un incremento della spesa corrente per 5,4 milioni di euro (ndr: d’ora in avanti useremo la sigla mln = milione di euro). Purtroppo parimenti le entrate per la parte corrente si sono contratte di 1,1 mln.

La maggior entrata per il Comune deriva dall’Imu: 56,086 mln in calo rispetto ai 57,3 mln dell’anno precedente. Probabilmente dovuta – dice Bosi – a una recente sentenza sui fabbricati che permette ai coniugi di fissare la residenza in immobili differenti (ndr, par di capire: diventando prima casa, dunque esenti Imu).

Nel frattempo è anche calato il recupero dell’evasione Imu, il grosso è già rientrato.

Il Comune inoltre deve sottostare alla Spending Review e quindi per il 2024 ha dovuto “restituire” allo Stato 1,125 mln.

Sul fronte delle uscite anche da rilevare l’aumento dei costi salariali. I dipendenti a tempo indeterminato del Comune sono cresciuti passando da 1.117 a 1.215. Le assunzioni totali nel 2024 sono state 204: una parte è stabilizzazione di contratti a termine. Il saldo finale di circa 100 unità è dovuto anche a pensionamenti e mobilità verso altri datori di lavoro.

Da porre attenzione all’indebitamento che, dopo tanti anni, cresce in maniera significativa: l’anno scorso il Comune ha acceso mutui per 19 milioni (a fronte degli 11 nel 2023) e la situazione debitoria cresce, per il solo Comune (ossia senza le partecipate) passando da106 a 118,5 mln.

E veniamo alle entrate che hanno portato all’avanzo “monstre” .

Si parte da alienazioni finanziarie straordinarie passate da 1 mln a 4,180 con le operazioni sulle partecipate Smtp e PGE.

Raddoppiano i contributi di costruzione: in vista del nuovo PUG si sono accelerate e concluse pratiche non più rimandabili, facendo passare le entrate di oneri di urbanizzazione da 4,923 nel 2023 a 8,635 mln nel 2024.

Ma quello che rende il 2024 un “anno eccezionale e irripetibile” è il lavoro fatto sui fondi rischi.

che ha liberato risorse davvero ingenti.

Si tratta di tre azioni diverse. Un lavoro certosino dell’avvocatura (sia dovuto a cause concluse in modo positivo per il Comune, sia con oneri di spesa ridotti rispetto alle previsioni, sia con un ricalcolo del rischio sulle cause aperte) ha portato alla riduzione del Fondo rischi su cause da 21,850 a 12,500 mln. Dunque risorse liberate per 9,348 mln.

Stesso lavoro sul fondo crediti di dubbia esigibilità: ossia la percentuale su crediti non incassati nel quinquennio, ridotto di 9,488 mln

Terzo componente: riduzione fondo perdite su partecipate pari a 2,277

La somma di queste voci cuba 21 milioni, la parte più importante dell’avanzo – afferma l’assessore al bilancio – così come i risultati straordinari in termini entrate: hanno permesso di non postare a fondo ciò che avevamo accantonato nel corso dell’anno, come da normativa: altri 7 milioni” (ndr dalle voci straordinarie citate sopra) e si arriva a 28 milioni”.

Infine va in avanzo una mancata spesa, prevista, di 5 mln. (ndr: in teoria un risparmio, ma in realtà si tratta di una mancata spesa nel settore sociale e famiglia che nel complesso eroga servizi per 80 milioni … ma non riesce a spenderli tutti e questo induce mugugni nella stessa maggioranza ma peraltro l’opposizione non affonda su questo tema)

E dunque si registra “Un avanzo di 33 milioni: il più importante di sempre sia in riferimento al passato sia guardando ai prossimi anni. È stato fatto un lavoro di pulizia eccezionale – sottolinea Bosi, prima di mettere in guardia – nel 2025 avremo un incremento di 1,5 mln nei costi stipendi, che aumenterà a 2,5 mln nel biennio, più gli aumenti Istat. Inoltre nl 2026 si andranno a ultimare le opere Pnrr, con maggiori oneri in termini di utenze”.

Bosi prudentemente si astiene da dare una linea politica su come indirizzare il “tesoretto”:

La responsabilità – dice l’assessore – è di utilizzare queste risorse per creare spazi di spesa sulla spesa corrente nei prossimi anni. Non giocarceli, come fatto con gli avanzi in passato, solo sulle esigenze dell’anno in corso. Dovremo fare ragionamenti completamente diversi. Sia verso un indebitamento che cresce ma anche in ottica del triennale delle opere pubbliche”.

E qui veniamo alle proposte su come spendere questi 33 milioni.

Il dibattito interno alla maggioranza è ancora embrionale, come attestano gli interventi susseguitisi in consiglio comunale. Dopo l’unico rimbrotto giunto dal consigliere di opposizione Bocchi (FdI) sono intervenuti, congratulandosi con giunta e staff tecnico del Comune, i consiglieri Boschini (Parma Sinistra Coraggiosa), Campanini, Marsico, Arcidiacono (Pd), Nouvenne (Prospettive) e Pinto (Effetto Parma) chi richiamando le esigenze di welfare, chi di riduzione indebitamento, chi di approfittare per razionalizzare spese, tagliare quelle marginali e rafforzare altri settori o indirizzare in nuovi servizi. Infine, in modo circospetto, si chiede di aprire un ragionamento su come investire in modo fruttuoso l’avanzo, senza citare il soggetto destinatario delle attenzioni. In quest’ottica, dalla registrazione del consiglio comunale sono da ascoltare in particolare gli interventi dei consiglieri Marsico e Pinto.

Togliamo il velo. Come anticipato, la prima intenzione circolata nella maggioranza di centrosinistra – e tuttora è l’intenzione che va per la maggiore – è di comprare azioni Iren. Subito si ipotizzava di investire pressocché la totalità del “tesoretto”.

Col passare dei giorni sono emerse richieste di “attenzione” da parte dei 9 assessorati e dunque il ragionamento in corso ora è di investire 20 milioni in Iren. E qui si aprirebbe il capitolo del “valore” di acquisto delle azioni. Operando sul flottante oggi il valore di mercato di un’azione Iren è stimato in 2,3 euro. (Ndr: a inizio marzo la quotazione era di 2,01 euro, oggi 2 maggio è salita a 2,5 euro… effetto delle voci o del super utile 2024 di Iren?)

Dunque, per la somma di 20 milioni, il Comune di Parma incrementerebbe dello 0,5% il suo pacchetto azionario. Secondo altri ragionamenti, che ipotizzano l’acquisto di azioni da parte di un socio pubblico in via privilegiata a un costo di 1,6-1,8 euro ad azione, se ne potrebbero acquisire un numero maggiore. Al di là di queste valutazioni, il risultato si scosterebbe di poco.

Il “peso” politico di Parma che oggi detiene il 3,163% delle azioni Iren (direttamente e tramite le partecipate), rispetto ai Comuni soci di Reggio Emilia, Torino e Genova, non cambierebbe. La stima sui maggiori dividendi da incassare sarebbe di 1 milione aggiuntivo – rispetto ad esempio ai 5,3 milioni che arriveranno a Parma quest’anno da Iren. Si tratta di risorse utilizzabili per finanziare la spesa corrente, dunque considerate strategiche.

Nel frattempo stanno emergendo altre due opzioni. Da un lato l’intenzione di realizzare una “grande opera” che dia lustro all’operato dell’Amministrazione, e del sindaco. Per prima cosa si sta valutando il piano delle opere pubbliche che vede diverse incompiute. In pole position ci sarebbe l’intervento sull’ex scalo merci in viale Fratti (per farci cosa?) e in subordine l’ex deposito Tep (ora Smtp) in via della Villetta, da destinare a casa della salute ove trasferire l’attuale polo sanitario di via Pintor, per poi ristrutturare a uso scolastico l’edificio Ausl.

Opere di riqualificazione necessarie ma che non paiono tuttavia di portata tale da lasciare il segno.

E in seno all’Amministrazione si vorrebbe qualche idea nuova, più creativa, un pensiero out of the box, anche se le tempistiche di ideazione, progettazione e realizzazione andrebbero ben oltre la scadenza delle elezioni del 2027.

L’altra opzione, più prudenziale, suggerisce di intervenire sui mutui per ridurre l’indebitamento con una maxi-operazione di ricontrattazione, andando a chiudere i mutui più onerosi. Come scritto sopra, l’anno scorso ha visto crescere l’indebitamento complessivo a 118,5 milioni.

In tutto questo ci sono poi da gestire le richieste degli assessori, costretti a “tirare la cinghia” nell’ultimo anno, e che vorrebbero un bonus di spesa di 1 o 2 milioni, a seconda del peso dell’assessorato, per un totale di circa 10 milioni.

Questi i fatti (delibera e discussione pubblica in consiglio comunale sull’avanzo di 33 milioni) e le indiscrezioni (raccolti in ambito di maggioranza). Ora qualche considerazione e una domanda a lettrici e lettori.

La prima impressione è senz’altro positiva: sapere che il Comune ha a disposizione una bella somma per interventi straordinari a favore della comunità, di questi tempi, è un bel segnale.

La seconda è la sorpresa di trovare in un colpo solo tali razionalizzazioni dei fondi rischi e svalutazioni crediti da far domandare se una miglior armonizzazione non fosse possibile già negli anni trascorsi.

La terza è sull’assenza di gran parte della minoranza nel consiglio comunale di lunedì scorso, su una delibera così significativa e che si prestava a letture contrastanti: invece assenti Vignali, Cavandoli, Ubaldi e anche Brandini, Costi e Osio; solo Bocchi è intervenuto, chiedendo peraltro un minimo chiarimento sulla spesa sociale.

C’erano assenze anche tra le fila della maggioranza tra cui risaltava lo scranno vuoto del sindaco Guerra e, anche questo, è degno di nota.

La quarta considerazione è che la città e la democrazia, per quanto assonnata, meriterebbe un dibattito pubblico – ancora meglio un percorso partecipato, ma forse questo è ambire troppo – sulla destinazione di questo utile /avanzo di bilancio. Crediamo che un centrosinistra in quanto tale non dovrebbe avere timori nell’imbastire un confronto simile. L’opzione di investire in Iren ha con sé pregi e difetti, perché se è vero che i dividendi si riverberano sui Comuni è altrettanto vero che i servizi di Iren vengono pagati dagli stessi cittadini e, come insegna la vicenda teleriscaldamento, non proprio a buon mercato.

Infine la domanda a lettrici e lettori: voi come investireste i 33 milioni del “tesoretto” del Comune?

Scrivetelo a pr.parallela@gmail.com

Francesco Dradi

Il Cepim ha messo gli occhi sull’ex Eridania

Logistica: la Cgil apre il dibattito su diritti e sostenibilità

L’apertura della bretella autostradale Tibre, tra i refoli di vento di un mercoledì mattina primaverile, porta con sé una voce (soffiata due volte, e insomma due indizi non fanno una prova, ma perlomeno indicano una traccia): il Cepim è interessato ad acquisire l’ex zuccherificio Eridania di San Quirico Trecasali per farne un polo distaccato dell’interporto di Fontevivo.
La Tibre forse non si completerà mai (torneremo ad approfondire l’argomento) ma quei 9,5 km di autostrada tra Ponte Taro e il casello di Sissa-Trecasali “accorciano” di molto la percorrenza tra l’interporto Cepim e l’ex zuccherificio.


A quanto noto al momento siamo allo studio delle carte: a favore c’è un’area produttiva dismessa di 115 ettari e con un lungo corridoio di accesso/parcheggio che può ospitare fino a 450 camion. Contro c’è il fatto che l’impianto industriale andrebbe smantellato per essere riconvertito. Non un’operazione banale.
Tuttavia il Cepim ha fame di nuovi spazi, come confermato dai vertici sei mesi fa, e non potendosi più ampliare nell’insediamento storico ha avviato una ricerca di siti esterni, facilmente collegabili. L’areale di primo interesse è su Bianconese e Ponte Taro. Si vedrà.

Quello che è certo è che la logistica ha fame di terreni e l’inaugurazione del casello di Sissa-Trecasali ha già scatenato gli appetiti. Per ora le aree intorno sono tutte agricole ed ex-cave, a parte il polo industriale di San Quirico dove accanto all’ex zuccherificio sono in attività il lievitificio Lesaffre e la centrale elettrica Edison.

Al proposito un interessante convegno organizzato martedì scorso dalla Cgil a Fidenza, dal titolo “Logistica lungo la via Emilia” ha portato a riflettere sugli effetti indesiderati della logistica che ha assunto una centralità indiscussa nel processo economico, non più ancillare all’industria ma forza autonoma capace di determinare i destini di un territorio, come accaduto nella vicina Piacenza dove ha generato una forte conflittualità sociale e un depauperamento ambientale.

«Fidenza con la bassa ovest del Parmense – ha detto Raffaele Tagliani, coordinatore Cgil zona Fidenza-Salso, nell’introdurre il convegno – è un territorio abbastanza ferito dalla logistica che, possiamo dirlo, è stata lo scheletro del liberismo globalizzato degli ultimi trent’anni dove si combinano tutti gli effetti deleteri sul piano sociale e ambientale, a caduta. Oggi si parla di neo-protezionismo, vedremo cosa succederà ma intanto la via Emilia , intesa come asse di un territorio, è sovraffollata di logistica, in forte espansione e che assume una centralità non solo come movimentazione merci ma come modello economico-industriale fatto di bassi salari, discriminazioni, grave consumo di suolo, conflittualità con le popolazioni. C’è una competitività aziendale esasperata e va a discapito dei lavoratori e del territorio».
«La crescita occupazionale è il nostro fine – spiega Tagliani – ma spesso la logistica porta cattiva occupazione e questo aspetto deve vedere una maggior presenza degli enti ispettivi e della prefettura nel monitoraggio della situazione. Sotto il tema ambientale vediamo che a valle il territorio cementificato non assorbe più l’acqua quando piove. Il lavoro è un lavoro migrante che ha bisogno di servizi come abitazioni, mobilità sicura, servizi alle famiglie. Tutto è ribaltato sulle istituzioni pubbliche con costi non sostenibili, manca una responsabilità sociale aziendale. E sul fronte sindacale lo vediamo nell’uso smodato del subappalto con costante precarizzazione».

Nella zona ovest del parmense sono circa 10.000 gli addetti nella logistica (stime Filt-Cgil). Le ditte principali dove operano sono: Stef (polo del freddo), Bormioli Luigi, Pinko, Socogas e comparto agroalimentare.

Convegno Cgil “Logistica lungo la vvia Emilia”. Da sinistra: Burani (nello schermo), Giannelli, De Rose, Bergonzi, Rossi, Leonardi, Tagliani (in piedi)

Prima di Tagliani aveva portato il saluto il sindaco di Fidenza, Davide Malvisi asserendo che il Comune «sta lavorando a un documento guida per il nostro territorio sulla logistica che si basi sul lavoro di qualità e sulla sostenibilità ambientale. Fidenza con la bassa ovest è un nodo strategico e non vuole essere solo un luogo di transito e stoccaggio. Su questo abbiamo già dato».

La tavola rotonda, moderata da Paola Bergonzi, segretaria confederale Cgil Parma con delega a logistica e appalti, si è aperto con l’intervento del sociologo del lavoro Emanuele Leonardi, dell’Università di Bologna che è partito da un dato: «Nel 2024 in Italia sono stati distribuiti 1 miliardo di pacchi. Un dato che già dice tutto. Il lavoro nella logistica è un prisma, un polo attrattore per l’economia sotto tre profili: produttivo, commerciale e di innovazione creativa» sotto questo aspetto Leonardi invita a guardare Amazon che col suo algoritmo combina «il massimo dell’innovazione con il massimo dello sfruttamento». Ma c’è dell’altro «nel mondo della logistica al contempo vi è un’enorme illegalità diffusa che porta a conflittualità anche se ora stiamo entrando in una nuova fase. Dai picchetti del 2011 a Piacenza, con le tragedie connesse, è poi intervenuta la magistratura che certo coi suoi tempi ha portato anche con recenti sentenze alla stabilizzazione di contratti per 50mila lavoratori, con riflessi anche per l’Agenzia delle Entrate che ha portato a recuperare svariati milioni di euro elusi fiscalmente».

Il consigliere regionale Paolo Burani (AVS – Europa Verde), presidente della commissione Territorio ambiente e mobilità della Regione Emilia-Romagna ha battuto molto sull’esigenza di porre un freno al consumo di suolo «la nostra regione è al secondo posto in Italia» e «in provincia di Parma si è già superato il 10% di superficie impermeabilizzata». Burani ha spiegato che nel programma di De Pascale ci sia «la revisione della legge urbanistica regionale per limitare le deroghe dell’articolo 53 alle sole opere di interesse pubblico; rafforzare la programmazione di area vasta; limitare gli insediamenti ai nodi già esistenti; rigenerare gli stabilimenti vuoti e arrivare a un vero saldo zero di consumo di suolo collegandolo esplicitamente al desealing» ovvero la desigillazione del suolo dal cemento con ripascimento di terreno.

Errico Giannelli, segretario provinciale Filt-Cgil ha sottolineato come si è partiti, e tuttora vi siano molti casi, di «lavoratori in difficoltà sociali e linguistiche che faticano a prendere consapevolezza dei diritti» spesso caratterizzati da «una transumanza tra un settore e un altro» mentre oggi comincia a vedersi «più stabilità, con salari decenti. Una platea di lavoratori con cui operare» dove il sindacato non è visto solo come aiuto per richieste di abitazioni e trasporti ma è impegnato «nel valorizzare le professionalità dei lavoratori, con aumenti salariali e diversificazione delle competenze, anche con elevate qualificazioni». (Giovedì si è verificato un infortunio sul lavoro nella Brt di Fontevivo, qui l’intervento di Giannelli)

È stato quindi il turno di Claudio Rossi, consigliere comunale di Fidenza con delega al Lavoro. Rossi, in passato sindaco di Fidenza e poi professionista in ruoli apicali nel mondo della logistica e trasporti, ha fatto un intervento ricostruendo il quadro storico, con tutti i cambiamenti intercorsi dal 1992 all’oggi con un’inevitabile processo di concentrazione nel quale, delle prime 10 aziende che operano nel settore in Italia, nessuna è di proprietà italiana. «È un settore – ha illustrato Rossi – che necessita di grandi investimenti e con spalle finanziarie robuste dato che ha margini ridotti: l’utile medio di un’azienda di logistica e trasporti è dell’1,5% sul fatturato. Questo comporta una feroce riduzione dei costi per competere». A cascata una sorta di «vassallaggio delle aziende fornitrici e diffuse illegalità, quindi servirebbero delle regole chiare per dare dignità ai lavoratori». In questo senso «il Comune di Fidenza sta cercando di stabilire alcune regole del gioco, scegliendo un atteggiamento pragmatico. Non diremo di sì a chiunque si presenti e valuteremo caso per caso la proposta che viene fatta, anche in relazione alla possibilità di usare il 3% di suolo (in base alla normativa regionale urbanistica, ndr) per lo sviluppo». «Il Comune di Fidenza – ha concluso Rossi – intende approvare due provvedimenti entro fine giugno. Il primo è un protocollo per la logistica sostenibile. Il secondo è l’adozione di un provvedimento che formalizzi la soglia retributiva minima negli appalti per i servizi comunali, con la possibilità per il Comune di introdurre un sistema premiante per le aziende che offrano i livelli salariali più alti».

Paola Bergonzi al proposito ha puntualizzato che «langue sul tavolo del Prefetto una bozza di protocollo sulla logistica, per dare linee di indirizzo sugli appalti, vincolanti per le aziende» sulle tutele per i lavoratori. Un protocollo che ogni Comune deciderà se accogliere o meno.

L’ultimo giro di tavolo è stato di Michele De Rose, segretario nazionale della Filt Cgil, partito da un’autocritica interna al sindacato per poi sottolineare come per la logistica «non c’è nessuna programmazione nazionale, né ci sono assi territoriali di riferimento» tanto che Fidenza fa parte della zona logistica milanese che, peraltro, si estende fino a Bologna. In questo contesto De Rose ha quindi rivendicato «il protocollo Cgil con Amazon, unico sindacato al mondo a riuscirci» nell’introdurre tutele. E se «nessun sindaco riesce a dire di no ad Amazon» De Rose prevede che alla fin fine il colosso di Bezos «dovrà sottostare» alle 5 sorelle, ossia le 5 compagnie marittime che controllano il trasporto merci mondiale. Una di queste è MSC che ha «appena comprato 49 porti in centro e sud America. Capite cosa vuol dire?».

Tornando alla logistica in Italia De Rose prevede percorsi di «internalizzazione del personale» dato che oggi le imprese del settore non conoscono i processi produttivi, come si organizza il lavoro e la gestione del magazzino, avendo esternalizzato tutto e il sindacato si impegnerà «affinché tutti i lavoratori della filiera appartengano alla stessa azienda, con gli stessi diritti».

Francesco Dradi

Il giorno che non sconvolse niente

Sospiro di sollievo. Il casaro può continuare a miscelare tranquillo il latte nelle caldere del parmigiano-reggiano. I dazi trumpiani sono stati sospesi all’ultimo minuto e il 9 aprile 2025 non sarà ricordato nella storia.

Anche a Parma e in Emilia il respiro è stato profondo e, appunto, di sollievo. La preoccupazione per le ricadute sull’economia locale, in conseguenza delle mosse del governo americano, c’erano tutte. E non sono svanite. La sensazione di turbolenze rimane incombente. Anche perché comunque un dazio flat al 10% è stato comunque imposto dagli USA a tutti i paesi (Cina a parte). E ammesso e non concesso che sia stata una strategia speculativa sulle Borse che, tramite vendite e acquisti al ribasso, ha permesso di arricchire la stretta cerchia del governo oligarchico americano.

Ci si stava preparando ai dazi e controdazi. Giusto per dare l’idea UnionCamere Emilia-Romagna ha pubblicato giovedì un accurato report sull’interdipendenza tra Emilia-Romagna (e dunque Parma) e USA. Lo studio “Dall’America all’officina. Quando il mercato statunitense fa la differenza” è stato curato da Guido Caselli, vicepresidente UnionCamere. Ne riportiamo qualche stralcio e tabella.

“Chi esporta? – Ecco i numeri riportati da Unioncamere – sono 5.788 le imprese che hanno esportato verso gli Stati Uniti dall’Emilia-Romagna nel 2024. Il 73% di queste, pari a 4.305 imprese, hanno sede legale in Emilia-Romagna, e realizzano l’84% del fatturato export complessivo. L’automotive, con 276 società, vale un terzo dell’export complessivo. La meccanica assomma oltre 1.100 imprese e realizza un quarto di quanto venduto negli USA. Tra i prodotti al primo posto si collocano le auto da turismo seguite dalle le piastrelle; nella top ten anche macchine per il packaging, imbarcazioni da diporto, parmigiano reggiano. 1.144 aziende esportatrici sono ditte individuali o hanno fatturato inferiore al milione. Le imprese più grandi, con oltre 25 milioni di fatturato, sono 788, pari al 18% del totale esportatrici, e realizzano l’86% del commercializzato negli USA”.

“Chi rischia di più? – si chiede Unioncamere dando voce alla domanda comune –
Per valutare il rischio che i dazi e le politiche commerciali di Trump rappresentano per ciascuna impresa nello studio è stato calcolato un indice di vulnerabilità del mercato americano attraverso il rapporto tra export verso gli Stati Uniti e fatturato globale. Sono state considerate vulnerabili, con differenti livelli di rischiosità, le imprese per le quali il mercato americano contribuisce per almeno il 5% alla realizzazione del fatturato aziendale complessivo. Non che per le altre aziende l’imposizione dei dazi sia irrilevante: l’individuazione della soglia del 5% è solo per dare evidenza alle società che rischiano di essere fortemente penalizzate dall’applicazione dei dazi. Le imprese vulnerabili sono 1.256, il 29% delle esportatrici negli Stati Uniti. Tra le imprese con esposizione maggiore ritroviamo 93 delle prime 100 imprese esportatrici. A livello settoriale sono le filiere collegate alla meccanica a presentare i valori di vulnerabilità più elevati: dal 43% delle aziende delle macchine per l’agricoltura fino al 33% dell’automotive”.
Per chi vuole approfondire consigliatissimo l’intero rapporto. Lo trovate qui.

Sebbene, come visto, siano i manufatti della meccanica quelli che generano maggior valore nell’export e senza ignorare la simbolicità di Ferrari, Lamborghini e Ducati, il prodotto per eccellenza che identifica l’Emilia, e Parma, è il formaggio parmigiano-reggiano. Perché è sulle nostre tavole tutti i giorni, è buono, e identifica e rappresenta l’immagine di una filiera che fa food valley: l’erba dei prati stabili, le vacche nelle stalle, la mungitura, il latte nelle caldere, le forme rotonde che stagionano impilate negli scaffali altissimi.

Il parmigiano-reggiano ha trovato terreno fertile in USA.
Le vendite totali del re dei formaggi hanno fatto incassare 2,9 miliardi di euro (dati 2023); la quota dall’export in tutto il mondo è del 47%. Di questa quota il 22,5% è venduta negli USA. In pratica 1 forma su 10 di parmigiano-reggiano è destinata al mercato dei 50 stati americani.

Cosa sarebbe successo con dazi del 20%? Secondo stime attendibili il prezzo al consumo del 24 mesi sarebbe passato dagli odierni 50 dollari al kg a 59 dollari/kg. Un aumento del genere avrebbe frenato il consumatore a stelle e strisce? Il timore era forte, seppur non espresso in maniera diretta dai vertici del Consorzio del Parmigiano-reggiano.

«Saremmo entrati in un periodo di fluttuazione con elevato rischio per i produttori – dice Saverio Delsante, allevatore e produttore di parmigiano-reggiano – ma questo perché pur essendo la base siamo l’anello debole. Sono i dati Ismea a dirlo: il valore pagato dal consumatore va al 20% all’agricoltore, il 30% al caseificio che trasforma, il 50% al grossista e alla GDO. Sono questi ultimi a decidere il prezzo finale. L’imposizione dei dazi va vista in questo rapporto, col rischio di un calo del prezzo di remunerazione della filiera per compensare il costo del dazio, in teoria un problema per il grossista ma di fatto chi assorbe il rischio finale è il produttore. Insomma si innescherebbe un processo speculativo inverso».

«La questione dazi va inquadrata su almeno tre livelli. – spiega Filippo Arfini, docente di economia agroalimentare dell’Università di Parma – Partiamo dalle grandi aziende, multinazionali o no, che hanno già insediato da tempo una loro produzione negli Stati Uniti. Pensiamo alla Barilla che ha uno stabilimento di pasta ad Aimes nell’Iowa, uno stato della corn belt, dove si produceva solo mais che invece ha diversificato in grano duro. Possiamo dire sommariamente che per queste aziende i dazi non incidono. Chi sarebbe veramente colpito, e siamo al secondo livello, è l’industria della meccanica alimentare (come evidenzia il rapporto UnionCamere). L’invenzione della Food Valley non è solo cibo, ma anche brevetti e capacità uniche nell’industria di trasformazione che vedono qui presenti i leader mondiali. Ormai nel ricambio generazionale in larga parte queste aziende sono passate di mano, dalle famiglie dei fondatori a grandi gruppi anche stranieri. Il fatturato è in massima parte derivante dall’export, si tratta di un’industria poco resiliente, altamente specializzata che fatica a reinventarsi e con un personale di alto valore aggiunto. È l’altro lato della genialità del prodotto. Con dazi elevati (e già ci sono quelli su acciaio e alluminio) c’è il serio rischio di un contraccolpo».

«Il terzo livello è quello del prodotto tipico, a denominazione d’origine protetta – continua Arfini – e qui mi permetto di andare controcorrente e dire che non tutto il male viene per nuocere. Intanto iniziamo col dire che in Europa e in Canada il marchio dop è riconosciuto e protetto. Negli USA non c’è protezione, devi pagare un trademark stato per stato, tanto che prolifica il “parmesan”. Ma onestamente non c’è paragone tra quel formaggio e il nostro parmigiano-reggiano. La qualità dei nostri prodotti è innegabile e riconosciuta dai consumatori che possono permetterselo.
Tanto è vero che negli ultimi dieci anni la produzione di parmigiano-reggiano è aumentata di 1 milione di forme, di fatto tutte destinate all’export. Sono dati ufficiali. E proprio qui sta il punto. Produrre così tanto vuol dire importare molta più soia, come mangime, e aumentare in quantità rilevante gli scarti, le deiezioni e le emissioni inquinanti che impattano sul nostro territorio. E tutto questo per vendere agli americani? … Attenzione: io non dico che piccolo è bello, ma una riflessione va fatta. E forse non a caso in questi giorni di rinnovo dei vertici del Consorzio del Parmigiano-Reggiano si è innescata una polemica poiché sono entrate le grandi aziende come Lactalis e sono rimasti fuori i piccoli caseifici della montagna reggiana. Certo non è più il tempo dei mille caseifici, ma per tenere quei ritmi di produzione le stalle passano da 100 a 500, 1.000 capi bovini e si pone una questione etica e ambientale. Se il prezzo del latte dovesse scendere da 30 € a 25 € al quintale, cosa succederebbe? Lo stesso discorso vale per i vini. Tanto che oggi chi volesse fare l’agricoltore si trova delle barriere enormi all’ingresso, impiantare un vigneto è diventata una roba da capitalisti e d’altronde, in generale, si va verso un’agricoltura industriale. Al contempo ci sono e rimangono piccoli agricoltori che se la cavano molto bene sul mercato, senza esportare niente
».

In questo week-end ci sono i caseifici aperti. Vale sempre la pena andare a conoscere da vicino “come si fa” il parmigiano-reggiano. Approfittatene per chiacchierare con casari e allevatori e chiedere come la pensano su dazi, filiera e evoluzione dell’agricoltura.

Francesco Dradi