Piccoli Studentati crescono

Nei prossimi due anni altri 500 posti a tariffe agevolate

30. All’esame è un voto che è accolto con gioia.

In questo caso, 30 sono i nuovi posti letto per studenti universitari in una nuova residenza e, dopo anni di immobilismo, è una buona notizia che, giustamente, viene accolta con una certa enfasi.

Tanto che il 23 giugno, lunedì pomeriggio, all’inaugurazione della palazzina studentesca in via Umbria / via Tanara, ci sarà anche la ministra dell’Università e della Ricerca, Anna Maria Bernini. Il plesso, ristrutturato tramite Er.Go con fondi PNRR, consta di tre palazzine: una è pronta mentre altre due sono in ristrutturazione, per un totale di 100 posti letto a regime. L’operazione è particolare perché si tratta del recupero ad una funzione sociale di un complesso che era sede di una Rsa per anziani, al centro di un tragico episodio due anni fa.

I 30 posti vanno ad aggiungersi ai 632 che Er.Go, l’azienda regionale per il diritto agli studi superiori, già gestiva a Parma.

Residenze universitaria Er.Go

Residenze universitarie Er.Go n. 7 + 1Posti letto 632 + 30
Cavestro, p.le Bertozzi95
Cocconi, borgo Cocconi20
Ulivi, via Pasini122
San Pancrazio110
Volturno212
Via Casalegno Tobagi25
Montebello, piazza Occorsio48
Tanara30

Una buona notizia tuttavia, continuando nella metafora, è un 30 senza lode, perché siamo lontanissimi dalla cifra che dovrebbe essere garantita, a costi accessibili, dalla nostra città agli studenti fuori sede: 3.600 posti letto.

« – conferma il rettore dell’Università di Parma, Paolo Martelliin base alle tabelle europee e che il ministero dell’università ha adottato ogni città dovrebbe fornire a costi convenzionati il 20% dei posti letto ai fuori sede. Considerato che quello di Parma è il terzo ateneo per attrattività e che il 57% degli studenti iscritti viene da fuori provincia, ossia circa 17.000, il calcolo percentuale porta ad avere questo numero di 3.600».

Quella degli studentati è una questione nodale per il futuro delle Università e delle città stesse. La protesta delle tende, lanciata due anni fa a Milano dalla studentessa Ilaria Lamera, emulata e dilagata in tutta Italia, compreso Parma, è scemata presto. Per una volta, la politica ha dato una risposta e il governo ha destinato un filone dei fondi PNRR proprio alla costruzione di studentati. In estrema sintesi: 1,2 miliardo di euro per realizzare 60.000 posti letto in tutta Italia. Concretamente 20.000 € di finanziamento per ogni posto letto creato, per tre anni, a patto che il posto letto sia mantenuto disponibile per 12 anni a prezzi calmierati. So’ soldi e le società immobiliari ne hanno subito approfittato. Invece, date le tempistiche molto strette, la Pubblica Amministrazione (Università in primis) non ha potuto approfittarne (occorreva individuare aree edificabili, o immobili da ristrutturare, fare gare, appaltare, aprire i cantieri e concludere i lavori al 30 giugno 2026. E dunque spazio ai privati. A Parma si segnala un’unica operazione in corso: la costruzione di uno studentato da 450 posti letto in strada dei Mercati, nell’ex area Lampogas, ad opera della società Rose Hope Italia srl di Fidenza. Come da normativa il 30% dei posti (ossia 135) sarà riservato a condizioni DSU (diritto allo studio universitario) mentre il restante 70% dovrà comunque essere reso disponibile a prezzi calmierati.

Lo studentato in costruzione in strada dei Mercati

E questo è quanto si sta muovendo e sarà disponibile per il 2026/27.

Tempi più lunghi invece sono stimati per arrivare in fondo a rendere abitabili due strutture di proprietà dell’Università: l’ex carcere di San Francesco del Prato (87 posti) e l’ex convento dei cappuccini in borgo Santa Caterina (61 posti).

Il rettore prof. Paolo Martelli

«La scelta della rigenerazione – spiega il rettore – comporta costi più elevati e tempi indefiniti. A San Francesco iniziati gli scavi nelle adiacenze del canale Naviglio sono state trovate delle anfore di epoca romana e dei pavimenti in cotto del periodo farnesiano. La Sovrintendenza ai Beni Architettonici e Culturali ha giustamente fermato tutto per valutare i reperti. Questo però comporta una lievitazione dei costi, a carico dell’Università, e una dilatazione dei tempi. Adesso i lavori dovrebbero riprendere e contiamo di completare in un anno e mezzo, salvo imprevisti. Per Santa Caterina speriamo di dare il via tra poche settimane. La durata del cantiere sarà due anni».

Altre iniziative in essere sono: una manifestazione d’interesse per acquisire in locazione degli alloggi in zona Campus, la partecipazione alla Fondazione Parma Housing Center (presentata mercoledì, qui un comunicato) e l’accordo ancora valido con l’Asp Ad Personam per una quota di posti (70 ?) da ricavarsi in una ristrutturazione con cambio di destinazione, da anziani a giovani, della struttura Romanini-Stuard in Oltretorrente. «Su quest’ultima non ho notizie aggiornate – circostanzia il professor Martelli – mentre la Fondazione Parma Housing che ci vede assieme ad altri enti pubblici per cercare appartamenti sfitti da raccogliere, con le adeguate garanzie e tutele per i proprietari. D’accordo che era già stato tentato un Fondo affitti rivelatosi un insuccesso, ma questa nuova formula è più interessante e speriamo dia frutti, per destinare appartamenti a studenti e, anche, al personale sanitario che è più in difficoltà nel reperire alloggi».

Gli studenti per alloggi in camere singole o doppie a prezzi calmierati possono rivolgersi anche a Camplus (370 posti tra borgo Cocconi e zona Campus) e Joivy-Dove vivo (200 posti al Campus), società private che hanno sviluppato il loro business nel segmento degli alloggi di servizio, tipo studentati, ma aperti a tutti, con fasce di prezzo medie. Con questi soggetti l’Università di Parma ha un’interlocuzione ma non convenzioni.

Insomma tirando tutte le somme, e guardando fiduciosi al 2027, ci sarà un balzo a 1.600 posti, all’incirca.

«Abbiamo bisogno di altri 2.000 posti letto – non ci gira intorno il rettore – Abbiamo presente la necessità di dare risposte sugli alloggi e questo è un tema che riguarda tutta la città. L’Università porta a Parma 17.000 giovani, per cinque anni della loro vita. E dopo la laurea, raggiunta da circa il 70% dei nostri studenti, questi giovani possono fermarsi a lavorare nelle imprese del territorio. E dunque è interesse di tutti essere attrattivi, che significa anche dare servizi, in primis l’alloggio. Er.go copre al 100% il diritto allo studio con un impegno della Regione Emilia-Romagna di 160 milioni, un sostegno aumentato del 5%, tuttavia chi supera la soglia Isee (20.000 euro, ndr) non può accedervi, e sono comunque fasce di popolazione che fanno fatica e che dobbiamo sostenere. I finanziamenti PNRR hanno avuto un impatto positivo ma i fondi non andranno esauriti. Quello che veramente manca è una politica nazionale per gli studentati».

Francesco Dradi

Come far odiare l’energia rinnovabile

Infuocata assemblea al rione Colombo, contro un campo fotovoltaico

Le energie da fonti rinnovabili saranno la soluzione che, prima o poi, archivierà i combustibili fossili e permetterà di ridurre l’emissione di gas serra e dunque contenere il riscaldamento globale, sul lungo periodo.

E come mai, allora, i cittadini all’assemblea nel quartiere Colombo, erano tutti inviperiti?

Perché il modo in cui sta planando sul territorio il fotovoltaico, a botte di 10 e più megawatt su terreni agricoli, senza alcun rispetto di pianificazione, di contesto paesaggistico e di distanze verso le abitazioni, sta inducendo nei cittadini l’effetto contrario a quello auspicato. Questo problema avviene in Italia, e non in altri Paesi naturalmente. Il Decreto Energia (dlgs 199/2021) è stato calato dall’alto per facilitare la diffusione delle fonti rinnovabili, da parte di quello che era ritenuto il “governo dei migliori”, ossia il governo Draghi, e però ha fatto strame di qualsiasi partecipazione non solo dei cittadini ma anche degli enti locali e le regioni, che si vedono piovere sulla testa questi mega-impianti senza poter eccepire quasi nulla. E la recente sentenza del Tar del Lazio ha riportato l’individuazione delle cosidette “aree idonee” in capo al governo.

Ricordiamoci peraltro che il ministro dell’ambiente e della transizione energetica in quel governo era il controverso Roberto Cingolani, non certo un ambientalista e che oggi è amministratore delegato di Leonardo (ex Finmeccanica) che si occupa di difesa e aerospazio.

Questo pregresso si riverbera oggi nell’inazione del governo Meloni che sulla questione non interviene nonostante montino polemiche da ogni dove. La situazione in Emilia-Romagna è ben spiegata in questo articolo del settimanale Internazionale. Senza tralasciare che l’obiettivo per la nostra regione è di 6,3 GW di rinnovabili da installare, il che significa che da qualche parte andranno pur messe. Al momento, l’Emilia-Romagna ha già installato circa 1,5 GW e ha 1 GW autorizzato, con altri 1,3 GW in attesa di valutazione. Mancano dunque 2,6 GW.

La situazione a Parma è andata in scena in un orripilante – a detta di chi vi ha partecipato – presentazione dibattito in via Benedetta nel rione Colombo (quartiere San Leonardo) martedì sera.

I residenti della zona si sono scagliati, con toni molto accesi, contro Paolo Pesaresi, ceo della CRV39 srl che fa parte del gruppo Chiron Energy e contro l’ingegnere Massimo Gaggiotti, responsabile autorizzazioni e conformità della medesima società. Non molto meglio è andata agli assessori Vernizzi e Borghi che hanno alzato le mani, dichiarando di non poter intervenire nel procedimento ma casomai mediare con la società energetica.

Peraltro i giochi sono quasi fatti, manca solo un passaggio in conferenza dei servizi aperta da Arpae per verificare l’impatto ambientale ma su aspetti tutto sommato marginali. Potrebbe esserci il tema dell’invarianza idraulica, ma dipende come sarà realizzato l’impianto.

La superficie interessata è di 14 ettari, ricompresa tra via Benedetta, via Setti, via Rocchi e la ferrovia (interconnessione all’alta velocità) come si può vedere nella mappa. I pannelli fotovoltaici copriranno 4 ettari, il 32% della superficie, rispettando la normativa, per un potenza pari a 11,2 MW che saranno realizzati in due stralci da 5,57 MW. Al centro sorgeranno 8 cabine di trasformazione incassate e un elettrodotto interrato collegherà alla rete. Non è chiaro – dalle informazioni raccolte – se i pannelli saranno ancorati a terra con palificazione leggera e rimovibile o se il supporto sarà cementificato.

I motivi di sollevazione popolare stanno in vari fattori. Primo, la mancata trasparenza della società che ha accettato di presentare il progetto solo dopo che, tramite accesso agli atti, il Comitato Rione Colombo ne aveva scoperto l’esistenza. Secondo, il brusco impatto con l’idea della scomparsa dalla vista di via Benedetta, l’asse portante del quartiere, del prato stabile. I pannelli sorgeranno a dieci metri dalla strada e saranno schermati da una siepe. Sicuramente non si vedranno, tranne che dai piani alti, tuttavia il paesaggio cambia inevitabilmente.

Terzo, un pregiudizio negativo verso queste installazioni che si vedono e, squadrate e con vetri scuri rilucenti, non sono considerate belle – come si vedono le antenne di telefonia, mentre ad esempio le polveri sottili, che provocano danni ai polmoni, sono invisibili – e non c’è niente da fare: per come risponde il nostro cervello agli stimoli vale il proverbio “occhio non vede, cuore non duole”.

Quarto è la sfiducia complessiva nel sistema, in cui il cittadino si sente trattato come suddito: anche se benevoli si tratta di impianti che a causa delle loro dimensioni cambiano la dinamica dei territori e però nessuno ha strumenti per opporsi o quantomeno per chiedere varianti al progetto, per mitigarne gli effetti (laddove vi sono) e farsi un’idea ragionata e compiuta su costi e benefici.

C’è poi il quinto aspetto, quello economico. L’impressione è che queste società (la Chiron è marchigiana, mentre un altro campo fotovoltaico previsto ad Alberi di Vigatto fa capo a una multinazionale spagnola e un terzo impianto è previsto nella zona di Botteghino-Porporano) facciano grandi speculazioni economiche. Nessuno nega il diritto al profitto, ma le cifre che girano sono enormi e diventano fastidiose per un ceto medio che fatica ad arrivare alla fine del mese e che, in questo contesto, teme tra le altre cose una diminuzione del valore immobiliare di case comprate con mutuo e sacrifici. Mentre i terreni agricoli su cui installare il fotovoltaico vengono comprati a prezzi fuori mercato, e qualcuno che vende alla fine si trova.

Più facile sembra essere stata l’acquisizione del terreno di via Benedetta da parte della Chiron Energy. Lì, col vecchio Prg, era prevista una espansione residenziale con palazzi alti 5 piani (se i ricordi son corretti) ma poi la crisi del 2007 ha portato alla cancellazione di quella previsione edificatoria, la riconversione ad agricolo e il fallimento della società proprietaria dei terreni, quindi rilevati a poco prezzo dalla Chiron (notizia attendibile ma non compiutamente riscontrata, ndr).

Ultima postilla, per il cortocircuito del mondo ambientalista: sostenitori delle energie rinnovabili ma altrettanto difensori del suolo e del paesaggio. Un binomio difficile, dato che tutti vorrebbero i pannelli fotovoltaici sul tetto, o sulle pensiline a coprire i parcheggi assolati, o il recupero di aree dismesse e degradate (vedi Spip 3) ma i costi e la normativa facilitano “troppo” la posa su terreni agricoli “vergini” rispetto ad altre soluzioni più virtuose.

Redazione

Due anni e mezzo di Giunta Guerra


Un bilancio alla luce del sole (senza dimenticare il ventilatore)

Se qualcuno aveva ancora dubbi su quanto la politica possa essere un tema caldo, la presentazione del bilancio di metà mandato della giunta Guerra li ha dissolti. Non tanto per il calore degli animi — sempre sotto controllo — quanto per quello, ben più letterale, che ha trasformato il Wopa in una serra tropicale, e il generatore a gasolio per garantire corrente elettrica a microfoni e proiettore è la rappresentazione plastica del perché aumentino le temperature.

Due mezze giornate in cui Sindaco e Assessori si sono alternati sul palco per raccontare la Parma di oggi e, ovviamente, quella di domani. Il tutto sotto lo sventolio continuo di ventagli (le signore più sagge) e di fogli improvvisati (i meno previdenti), con il ventilatorino portatile del vicesindaco Lorenzo Lavagetto diventato oggetto di desiderio tra i suoi colleghi.

L’atmosfera è discreta, si vuole far trasparire la soddisfazione per il lavoro svolto ma senza cercare l’”effetto WOW”: il leitmotiv ripetuto da sindaco e assessori con apprezzabile understatement è “non siamo qui per autocelebrarci, sappiamo che potremmo fare di più, ma ci impegniamo tantissimo per dare il massimo alla città”.

Il sindaco Michele Guerra viaggia con il pilota automatico del suo stile comunicativo sobrio e rassicurante, a tratti bonariamente ironico. Sempre abile nel parlare a lungo dicendo poco, si tiene alla larga dagli argomenti scomodi (ad esempio l’aeroporto Verdi, per citare uno dei grandi assenti dall’evento). Nessuna primadonna in scena: la squadra si presenta collaborativa e coesa, per lo più senza calze (tendenza trasversale che va da Gianluca Borghi, sempre il più glamour nel suo outfit total dark, a Ettore Brianti, più rustico nello stile ma ugualmente sbarazzino alla caviglia).

A onor del vero, qualche primadonna in platea c’è, ma più per farsi vedere che per ascoltare, lo si capisce dal fatto che dopo un’oretta al massimo quasi tutti i VIP o presunti tali guadagnano l’uscita alla chetichella. Per il resto, circa un centinaio di persone il primo giorno, un po’ meno il secondo, in larga parte rappresentanze di categoria, associazionismo, cooperazione, ordini professionali, politica locale (da segnalare la sola Laura Cavandoli tra i leader dell’opposizione in Consiglio). I “semplici cittadini” sono una rarità quasi esotica (anche perché alle 4 del venerdì pomeriggio la gente ancora lavora, o è già partita per il week-end mare o monti), un po’ come i giovani, evocati in ogni intervento e quasi del tutto assenti in carne ed ossa, a parte una manciata di esemplari da tutelare come panda giganti.

Sul palco sfilano gli assessori, ognuno con il proprio pacchetto di slide non sempre governato con disinvoltura con il telecomando, evidentemente non c’è stato tempo per fare le prove.

Tra le parole più usate spiccano “partecipazione”, “inclusione”, “accessibilità”. In ribasso “sostenibilità”, in ossequio allo spirito dei tempi, anzi il Sindaco ridacchia perché qualcuno accusa la sua amministrazione di estremismo green, ma la rappresentanza ambientalista in sala si sente di rassicurarlo: non c’è pericolo. Sorprendentemente non pervenuta “eccellenza”, di solito tanto cara al lessico ducale.

Gianluca Borghi, assessore ad Ambiente e Mobilità, apre il ballo puntando sul grande classico di Parma carbon neutral, svelando uno degli ingredienti forti della ricetta: l’acquisto di crediti di CO₂ dal Parco Nazionale dell’Appennino Tosco-Emiliano, prevedibilmente l’unico modo realistico per avvicinarsi alla neutralità climatica promessa al 2030. Tra i tanti progetti ricordiamo le pensiline fotovoltaiche sui parcheggi pubblici, la Fondazione CER (prima in Italia), per chiudere con il sempre condivisibile richiamo ad Alex Langer, buono per tutte le stagioni, che “la transizione deve essere desiderabile“.

Francesco De Vanna, con le sue deleghe a Sicurezza, Lavori pubblici e Verde, sfoggia una certa concretezza: i parchi rigenerati (Ducale, Nord, Testoni, Vetrai), l’impegno per gestire al meglio i 41 mila alberi cittadini, gli sfalci ridotti per favorire la biodiversità. Sulla sicurezza adotta un approccio progressista, senza farsi ingolosire dalla retorica securitaria imperante: spazio (grazie anche a 45 nuovi Vigili) a prevenzione e prossimità, in secondo piano repressione e telecamere. Su questo tema, come è ovvio che sia, San Leonardo riceve attenzioni particolari.

Chiara Vernizzi, assessora alla Rigenerazione Urbana, vola alto, forse anche per la sua estrazione accademica: il PUG è il suo orgoglio, come visione di lungo periodo, frutto anche delle tante osservazioni recepite. Ma sulle piaghe urbane più dolorose — ex scalo ferroviario, teatro dei dialetti, ponte Nord, per dirne solo alcune — il registro resta sul vago, anzi non dice proprio nemmeno una parola.

Beatrice Aimi, assessora alla Comunità giovanile, racconta il faticoso percorso della candidatura UE per Parma Capitale dei Giovani, con tanto di sudori freddi per i documenti da produrre in inglese, forse ChatGPT non ha ancora varcato le porte degli uffici comunali… Grande enfasi sul “co-management”: saranno i giovani stessi a decidere per i giovani. Attenzione ai meno fortunati e lotta a eventifici e progettifici fini a sé stessi. La platea purtroppo si distrae puntualmente ogni volta che vengono snocciolati dati, ma quando Aimi spiega che a Parma i giovani aprono meno partite IVA che altrove perché “qui da noi il lavoro fisso si trova”, i pochi non intenti a guardare il telefono alzano qualche sopracciglio.

Sempre in tema giovani, Aimi illustra il “bollino di regolarità generazionale” apposto su ogni atto comunale e il primato OCSE di Parma nello Youth Check. Altri progetti innovativi la “cittadella dello sport” e gli spazi gratuiti di aggregazione destrutturata. A un certo punto elenca le “cose che lascia”, viene il dubbio che sia il suo discorso d’addio, ma il sindaco interviene subito per evitare malintesi: “però tu rimani con noi”.

Daria Jacopozzi, che presidia la partecipazione e i quartieri, infarcisce i suoi interventi di molte parole chiave (pace, fraternità, inclusione, dialogo, quartieri, diversità) e un po’ di esempi concreti: la piattaforma “Parma Partecipa”, i laboratori di quartiere, le cene di quartiere sono fra le cose che la rendono più orgogliosa.

Da Ettore Brianti, assessore alle Politiche Sociali, una esaustiva e ben argomentata esposizione sull’importante impegno del suo assessorato nel supportare le fragilità e sull’housing sociale, un lavoro oscuro, dietro le quinte, che trova poco spazio sulle prime pagine ma restituisce dignità alla vita di tanti concittadini meno fortunati.

Caterina Bonetti, disinvolta e sorridente come nel suo stile, sgranocchia agilmente il suo “pezzo di panel” (il gioco di parole, forse involontario, è proprio suo): dopo essersi a lungo soffermata sulle biblioteche, racconta il boom delle diagnosi di problemi comportamentali e nello spettro autistico tra i bambini, i piani per abbattere le liste d’attesa negli asili e, sul fronte innovazione, il fiore all’occhiello del “digital twin” della città, per mappare habitat e abitanti. Anche qui molte parole chiave come inclusione, lotta alla discriminazione e pari opportunità.

Lorenzo Lavagetto, vicesindaco e assessore alla cultura, suscita qualche sorriso divertito del pubblico con la sua autoironia sulla delega alla tutela degli animali: “croce e delizia, molta croce, poca delizia“. Rivendica un’offerta culturale diffusa, popolare, spesso gratuita, portata vicino alle persone nei quartieri fuori dal centro.

Marco Bosi, assessore a Sport e Bilancio, sottolinea l’importanza di progetti che sopravvivano ai cicli politici. È molto fiero di Giocampus, nato 25 anni fa, progetto sicuramente tra i più virtuosi per longevità e contenuti, grazie al quale Parma oggi guida l’Emilia-Romagna nella lotta all’obesità infantile, mentre a suo tempo era fanalino di coda. Annuncia poi che Parma potrebbe ospitare gli assoluti di atletica al Campo Scuola nel 2026, grazie agli importanti lavori iniziati dopo l’alluvione del 2014 dal predecessore Marani. Non dedica un secondo alla vicenda Tardini, il progetto potenzialmente più impattante sulla città di questi decenni, ma pazienza, mica c’è tempo per parlare di tutto…

La gastronomia — finora lasciata in panchina — trova qualche minuto di attenzione da Bosi, con un inatteso occhio alla sostenibilità: Parma, città creativa Unesco, dovrà ripensare i suoi modelli alimentari tradizionali per ridurne gli impatti e adeguarsi a un mondo che cambia. Certo, dal dire al fare…, ma almeno finalmente qualcuno osa parlare di cibo a Parma sottolineando le criticità e senza limitarsi alle solite frasi fatte.

Chiusura morbida e senza domande

Si chiude nella tarda mattinata di sabato, manco a dirlo, con l’ennesimo saggio di understatement di Guerra: ringraziamenti e sorrisi, mentre il momento per le domande promesso il giorno prima viene saltato a piè pari senza che nessuno protesti, ormai s’è fatta una certa e il pranzo in famiglia chiama.

L’evento sul bilancio di metà mandato si chiude come era cominciato: compostezza, messaggi rassicuranti, qualche lampo di concretezza e zero sorprese. Parma si governa così: stando alla larga dagli argomenti scomodi, con un ventilatore sempre pronto in caso faccia troppo caldo.

RC

Langhirano: il Garante Privacy sanziona l’Unione montana per videosorveglianza illecita della Polizia locale

Quando a essere multati sono i vigili la notizia è da manuale giornalistico: l’uomo che morde il cane.

È accaduto a Langhirano. La telecamera di sorveglianza dell’accesso al comando di Polizia locale non era adeguatamente segnalata e dunque era illecita (o meglio: illecito l’uso che se ne è fatto).

Una denuncia per “violazione della disciplina in materia di protezione dei dati personali, riguardante il trattamento dei dati personali, mediante una telecamera di videosorveglianza” all’esterno della sede dei vigili urbani, è stata presentata nel 2023 al Garante della Privacy, che ha aperto un fascicolo istruttorio, chiedendo informazioni al titolare del trattamento dati ossia all’Unione Montana Appennino Parma Est, sotto cui ricade la Polizia locale a servizio dei Comuni consociati (sette comuni: Langhirano, Lesignano, Neviano, Tizzano, Corniglio, Monchio, Palanzano).

Dopo le risposte fornite dall’Unione e ulteriori approfondimenti il Garante ha stabilito “che, nel caso di specie, il livello di gravità della violazione commessa dal titolare del trattamento sia alto”.

È quanto si legge nel provvedimento n. 201 del 10 aprile 2025 (emesso il 28 aprile) in cui il Garante della Privacy, concedendo che l’Unione montana “non ha precedenti” ed “ha offerto buona cooperazione” “ritiene di determinare l’ammontare della sanzione pecuniaria nella misura di euro 8.000” e di ingiungere al pagamento della sanzione (riducibile alla metà se pagata entro 30 giorni) e di apporre “un’informativa di primo livello sul trattamento dei dati personali”.

L’Unione montana ha accettato l’ingiunzione e il 26 maggio ha emesso due determine riconoscendo implicitamente di avere torto (nella prima determina è scritto: “ritenuto opportuno non proporre ricorso dinnanzi all’autorità giudiziaria ordinaria avverso il Provvedimento del Garante”), per pagare la somma ridotta di 4.000 euro e acquistare 4 cartelli con la scritta “Area videosorvegliata” per 122 euro.

Cercando di uscire dal linguaggio burocratico-legalese degli atti tentiamo di spiegare in termini semplici cosa è successo. Alla base di tutto è bene sapere che vi è un rapporto fortemente conflittuale tra agenti e comando della polizia municipale dell’Unione montana (su questo torneremo in un prossimo articolo). La sede del comando all’epoca dei fatti era in via Cascinapiano 1 a Langhirano, mentre ora è ubicata nella palazzina comunale in via Pelosi 11 sempre a Langhirano, che è il paese in cui ha sede l’Unione montana, essendo Langhirano il Comune principale con una popolazione di oltre 10mila abitanti, sui 22mila dell’intera Unione montana.

Il 2 gennaio 2023 un agente di polizia municipale fuori servizio entra alle 20 nella sede del Comando ad uffici chiusi, per cercare degli effetti personali che ha dimenticato. Non sta compiendo atti illeciti (come è stato appurato successivamente). La domanda è: potrebbe entrare a sede chiusa per motivi personali o non potrebbe? E nel farlo deve seguire delle procedure particolari?

Il punto viene messo dal comandante che notifica all’agente un provvedimento disciplinare che si basa anche sul fatto che è stato ripreso dalla telecamera di sorveglianza. E qui scatta l’incogruenza che porta l’agente a denunciare il fatto, considerandolo un abuso, al Garante della Privacy.

Nell’istruttoria il Garante, tramite le informazioni ricevute dall’Unione montana, appura che la telecamera è stata installata nel 2016 per motivi di sicurezza urbana a tutela degli immobili di proprietà, e che, per questi motivi, il termine massimo di conservazione dei dati sia 7 giorni. Peccato che nella notifica all’agente del procedimento disciplinare sia indicata la data del 13 gennaio (undici giorni dopo il fatto) e che le riprese non potessero essere utilizzate per il “trattamento dei dati personali dei lavoratori”.

Semplificando, possiamo dire che si tratta di due errori gravi commessi dal Comando di Polizia locale che il Garante accerta chiedendo chiarimenti all’Unione la quale li fornisce senza remore, in uno scambio epistolare a più riprese nel corso del 2024.

Due in particolare i rilievi mossi dal Garante: il primo è che per il tipo di inquadrature della videocamera di sorveglianza essa non si può configurare idonea per la “sicurezza urbana integrata”, il secondo è che è possibile riprendere l’attività dei lavoratori ma questo aspetto deve essere oggetto di un accordo sindacale e notificato specificamente (informativa di secondo livello) ai lavoratori. L’Unione montana ha siglato l’accordo sindacale sulla videosorveglianza il 21 novembre scorso, dopo l’avvio del procedimento del Garante.

Insomma, ora quella telecamera è in regola.

Francesco Dradi

Tra dialogo e rabbia contro la microcriminalità

Le richieste di “Giù le mani da Parma” al prefetto e alla polizia locale

Ci sono due filoni che emergono dalla conferenza stampa di “Giù le mani da Parma” il movimento civico contro la microcriminalità nato a San Leonardo, che preannuncia un terzo corteo manifestazione per sabato 21 giugno, con ritrovo in piazzale della Pace alle 10.30.

C’è il filone ufficiale, dei portavoce Gianluca Zoni e Mauro Franchi, che espone richieste di dialogo quasi moderate.

E c’è il filone rabbioso, degli aderenti, che non esita a “prendersela” con i carabinieri che durante i pattugliamenti non farebbero il loro dovere (una voce si alza per dire, addirittura, che simpatizzerebbero coi pusher) e con la magistratura che dovrebbe essere più inflessibile con i condannati, mandandoli in carcere senza concedere la sospensione condizionale della pena.

In conferenza stampa non una parola è stata rivolta contro il sindaco Guerra che, invece, nel volantino della manifestazione di sabato prossimo è il primo bersaglio, reo di “non ascoltare”.

La situazione di microcriminalità che viene posta all’attenzione è sempre e solo quella del tratto iniziale del quartiere San Leonardo, con epicentro in via Brennero. Una presenza permanente di spacciatori, tossicodipendenti e piccoli delinquenti che non si riesce ad eliminare e induce esasperazione nei residenti, denuncia Zoni.

«La discussione della mozione che abbiamo proposto in consiglio comunale – afferma il portavoce di Giù le mani da Parma – non ci ha soddisfatti, quindi faremo una conferenza stampa mensile per dire quello che succede. Le nostre manifestazioni sono servite, abbiamo visto una maggior presenza delle forze dell’ordine e anche il prefetto ha detto al sindaco che la polizia locale dev’essere attiva 24 ore».

Fatto questo preambolo Zoni elenca quattro richieste: «Primo, chiediamo un rafforzamento del presidio territoriale, sappiamo che le forze dell’ordine a disposizione sono minime per cui chiediamo al prefetto di fare richiesta al governo per aumentare l’organico».

Seconda richiesta: «Vorremmo un presidio notturno della polizia locale. Bene 45 nuovi agenti assunti, ma vorremmo che facessero adeguata formazione, per evitare che si ripetano episodi come quello noto, accaduto in via D’Azeglio recentemente» Terzo: «Serve più coordinamento tra le istituzioni e con i cittadini. Il Comitato Sicurezza della Prefettura deve essere più coinvolgente».

Quarto: «Vogliamo maggior pattugliamento delle zone critiche, come via Brennero. E il presidio di polizia locale in San Leonardo non può essere aperto solo due ore al giorno, con spesso i vigili che sono fuori in strada, e questo ben venga. Ma il presidio dev’essere presenziato, magari trasferendo personale amministrativo dal Duc». Infine Zoni avanza qualche richiesta spicciola: «ragionare sulla dotazione e l’uso di taser (pistola elettrica) alla polizia locale», «utilizzo del Daspo», «ripristino del nucleo cinofilo» «attivare convenzioni per gli assistenti civici volontari a fianco della polizia locale, intesi come volontari delle associazioni nazionali della polizia di stato o dei carabinieri».

L’avvocato Franchi chiede esplicitamente a chi sovrintende alla sicurezza «l’istituzione di un tavolo tecnico di concertazione, con la partecipazione permanente della civicità, ad esempio del coordinamento che rappresentiamo e di analoghi comitati o rappresentanze», rimarcando che «la sicurezza dev’essere la prima priorità dello Stato» a cui compete legiferare in tema di «ordine pubblico e sicurezza, come stabilisce l’articolo 117 della Costituzione».

FD

Stazione, sette mesi di scale immobili

Sono quasi 7 mesi che, in stazione, le scale mobili sono fuori servizio dal piano -2 (corrispondente all’arrivo di autobus, taxi e auto in sosta breve) al piano -1, il mezzanino di accesso ai binari.

Non si tratta di un disagio da poco. Riguarda almeno 10mila viaggiatori al giorno. Difatti la stazione di Parma è classificata da RFI come ad alta frequenza (da 10 a 20mila viaggiatori/ giorno).

La sostituzione della scala mobile è stata effettuata. Sarebbe pronta alla riapertura, ma le barriere gialle rimangono a impedirne l’accesso. Come mai?

Carissimi, – ci scrive dalla community la lettrice S.B. – volevo segnalarvi i disservizi della stazione di Parma. Ci sono lavori in corso che sono iniziati il 25.11.2024 (non si vede mai nessuno lavorarci però!) con chiusure delle scale mobili che portano dal livello stradale al piano intermedio e viceversa e chiusura dell’ascensore che porta al binario 6.

Mi è capitato alcune volte di aiutare delle signore con bagagli ingombranti costrette a salire le scale… Ora, sulle informazioni relative ai lavori c’è scritto che la tempistica del cantiere è di un anno, però trovo assurdo che questa situazione possa dilungarsi così tanto e causare parecchi disagi ai viaggiatori.Inoltre in questi giorni è stato chiuso l’accesso al primo binario, senza specificare di quale tipo di lavori si tratta, seppure più brevi”.

Abbiamo contattato invano RFI (Rete Ferroviaria Italiana) per avere delle risposte. Purtroppo è la situazione del Paese Italia, dove il cittadino (e ormai anche i mezzi di informazione) non ottiene spiegazioni, risposte, dove non c’è nessuna trasparenza. E allora siamo costretti ad affidarci alle testimonianze informali, alle indiscrezioni, per capire cosa succede, ricostruendolo intrecciando le voci con gli scarni dati ufficiali.

La nuova stazione, inaugurata nel 2014, ha sempre avuto vita travagliata, fin dalla sua progettazione nell’epoca della grandeur ubaldiana. La sua costruzione ha risucchiato soldi pubblici come in una voragine (almeno 90 milioni) per una struttura poco funzionale, bruttina e fin dall’avvio continuamente oggetto di rotture nei suoi collegamenti interni.

Dopo anni di segnalazioni e riparazioni estemporanee, RFI ha preso atto che scale mobili e ascensori andavano smantellati e sostituiti con impianti nuovi.

Il cantiere, per un appalto di 700mila euro affidato alla ditta Camar di Castelnovo Monti, riguardava, appunto, il rifacimento delle scale mobili dal -2 al -1 e dell’ascensore per i binari 6 e7. I lavori hanno preso avvio il 25 novembre scorso e dovevano concludersi in tre mesi. Ma dopo la sostituzione della scala mobile tutto si è fermato e solo nei giorni scorsi sono ripresi i lavori per l’ascensore. Stima di conclusione lavori: un mese. In fondo sarebbe un ritardo di 5 mesi, anche poca cosa viene da dire amaramente.

Intanto altri lavori di riqualificazione al binario 1 hanno comportato lo spostamento dei convogli per e da La Spezia sul binario 2 ma nessun cartello segnaletico è stato affisso per segnalarlo. Certo ci sono i tabelloni elettronici e gli annunci all’altoparlante. Tuttavia è un’altra mancanza di informazione ai cittadini.

All’esterno, al livello 0, ossia dalla stazione alla piazza Dalla Chiesa, da mesi sono interdette le passerelle pedonali di collegamento tra la stazione e le rastrelliere delle bici e i posteggi moto. Basta dare un’occhiata allo sbriciolamento del piano di calpestio in vetro temperato per coglierne il motivo (anche qui, nessun cartello). Possibile che dopo dieci anni sia così malridotto? (Anche qui: citofonare l’archistar Bohigas che disegnò la nuova stazione, ma potremmo aggiungere i progettisti, le ditte incaricate dei lavori, la società di trasformazione urbana Stu Stazione, i politici dell’epoca…)

Vedremo se la sistemazione delle passerelle rientrerà nel nuovo cantiere che RFI dovrebbe appaltare nel corso del 2025 (che contemplerà vari interventi: le scale mobili da 0 a -1, due ascensori, rifiniture esterne, per un totale di altri 700mila euro). I lavori dovrebbero marciare in contemporanea con quelli predisposti dal Comune di Parma per il prossimo autunno, per la riqualificazione della piazza, inclusa la fontana del monumento a Bottego. Stanziati 2 milioni di euro.

Francesco Dradi

Referendum Cittadinanza, festa della nuova Italia al parco Pellegrini

Giugno all’inizio è un mese ancora sospeso. Si porta dentro l’ultimo ricordo dell’inverno, l’aria che spazzola l’ultima neve delle vette e corre fresca in pianura.

C’è tanta energia e bellezza in questa sera: chissà dove porta, chissà cosa porta”.

Prendiamo a prestito le parole di Andrea Baroni, enologo e scrittore, per calarci nella festa di chiusura della campagna elettorale per il referendum cittadinanza, andata in scena ieri sera (5 giugno) nel parco Vero Pellegrini, nello spazio Avért.

Sembra una festa di fine anno scolastico: allegra e malinconica.

Con tanta gioventù come fosse all’ultimo ballo. Il referendum come un pre-engagement politico.

La sfida di vincere il referendum dell’8 e 9 giugno è tutta in salita: raggiungere il quorum (50%+1 voto, che renderà valido il risultato dello scrutinio, altrimenti nulla) sarà un miracolo. Questa consapevolezza di fondo allontana, anzi non fa proprio apparire, l’ansia e la tensione elettorale. Rimane dunque quel guardarsi e poter dire: pure per poco, e anche se il governo e la Rai hanno silenziato i referendum, abbiamo messo al centro del dibattito, e del pensiero degli italiani, il tema della futura identità nazionale. Questo il punto di merito, al di là del quesito tecnico sulla riduzione dell’attesa da 10 a 5 anni della cittadinanza italiana per le richieste di chi è cittadino straniero.

Dal profilo instagram Referendum Cittadinanza Parma

La festa per il referendum cittadinanza è lo iato palpabile tra la vecchia e la nuova Italia.

I capelli bianchi, che sono largamente prevalenti alle feste di partito e di chiusura campagne elettorali politiche, si contano sulle dita di una mano. Il pubblico (una cinquantina di persone ad ascoltare i relatori, il quadruplo ai tavoli ad abbeverarsi di aperitivi in attesa della chiusura in musica) è quasi tutto giovane di quella indefinitezza dei giovani come sono intesi oggi: dai 20 ai 35 anni.

È l’avanguardia della nuova Italia: molto femminile, colorata, senza appartenenze politiche esplicite e però forse con il limite di essere una crème.

La serata è stata ottimamente organizzata dal comitato promotore di Parma del Referendum Cittadinanza (Joy Olayanju, moderatrice, Maria Letizia Zanoletti, presentatrice, Luca Amadasi, factotum) con ospiti di rilievo nazionale.

Prima di cominciare, uno sguardo a chi c’è della politica locale. Siccome il Comitato chiede di non esporre bandiere di partito, ci adeguiamo e li elenchiamo senza accanto le siglette di partito.

Tra i primi ad arrivare: Victoria Oluboyo, Michele Alinovi, Enrico Ottolini in cargo bike, l’assessore Gianluca Borghi, in bici azzurra fiammante. E poi si vedranno: Antonio Nouvenne, Massimo Pinardi, Sara Fallini e Giulia Nico, Marco Bosi, Leonardo Spadi, Giuseppe Negri. Ci scusiamo se ci fossero stati altri, che non abbiamo visto.

Nel pubblico altre figure di rilievo della vita cittadina: Luca Marola (che sarà omaggiato di un applauso per la sentenza di assoluzione dal processo cannabis light), Giuseppe Iotti (presidente G.I.A.), Niccolò Delsoldato (uno dei direttori di Punto e virgola).

E naturalmente, poiché il suo nome spiccava in locandina, c’è il sindaco Michele Guerra a cui tocca l’apertura, con un discorso motivazionale.

L’arte oratoria del sindaco è sempre efficace anche se si avvertiva un po’ di stanchezza, al termine di una giornata intensa per Guerra, scandita da mille impegni tra cui l’evento conclusivo dell’Assemblea per il Clima, ulteriore tassello del percorso “Parma carbon neutral”, ma questa è un’altra storia, anche se tutto si tiene.

«L’altro giorno ero a un incontro dei corsi serali alla scuola Bodoni – affonda subito il sindaco – un ragazzo, venuto dall’Albania a 3 anni e che oggi ne ha 23, mi ha chiesto “sono qui in Italia da sempre e rimarrò qui, mi sento come voi. Perché non posso ancora esprimere il mio voto?” Questo perché sono lunghissimi i processi per ottenere la cittadinanza. E oggi tanti concittadini di Parma ci chiedono di impegnarci per un loro diritto, ma è un vantaggio per tutti: una società che garantisce più diritti è una società che sta meglio. A Parma sono 35mila i cittadini stranieri residenti e sono pochi quelli da paesi dell’Unione Europea. Sono cittadini che lavorano, fanno impresa, portano risorse e demografia, un tema che deve starci a cuore».

«La città – prosegue Guerra – si sta un pochino sprovincializzando, grazie a tanti cittadini provenienti da tante parti del mondo, la parmigianità arroccata si sta un po’ sgretolando» e scusate ma son parole da rimarcare, queste del primo cittadino.

Sul referendum Guerra parla di «dibattito lunare, surreale», che addita i migranti solo come delinquenti. Senza nascondersi «c’è una quota di devianza, ma se partiamo dal presupposto che è tutto male, noi siamo destinati a spegnerci, come dice la nostra demografia. È un Paese che va spegnendosi. Accanto a questo dibattito assurdo, c’è l’invito al non-voto. Stiamo chiedendo a questo Paese di non informarsi e non dire come la pensa. E, dopo, per forza che starà a casa. Il quorum è difficile. Ma diciamo a tutti di andare a votare: non possiamo rimpiangere di non aver dato tutto quello che abbiamo».

A seguire, moderati da Joy Olayanju, sul palco si sono alternati Livio Cancelliere, avvocato immigrazionista, Antonella Soldo, autrice quesito referendario e coordinatrice campagna, Viktoria Karam, attivista e gestrice dell’account instagram Volti Italiani e Michele Rossi, direttore del Ciac, ente di tutela diritti della popolazione immigrata.

Dal profilo instagram Referendum Cittadinanza Parma

Cancelliere ha spiegato l’oggetto del referendum e il tecnicismo che, se vincesse il sì, ridurrebbe da 10 a 5 anni la possibilità di fare la richiesta di cittadinanza. Spiegando che in realtà i dieci anni sono da intendere come un 10+3 a causa delle procedure burocratiche, dopo la presentazione della domanda.

E fermo restando gli altri requisiti da rispettare richiamati da Soldo: conoscenza della lingua italiana al livello B1, reddito negli ultimi tre anni, fedina penale senza reati. « E guardiamo invece ad alcuni onorevoli che siedono in Parlamento» dice caustica Soldo che attacca senza remore il governo: «Persone che alimentano paure per raccattare voti» con il paradosso che volendo inseguire gli scafisti «nel globo terracqueo» il risultato è che «abbiamo il triplo degli sbarchi da quando sono loro al governo». «Vorrei vivere in un paese più moderno, che non ha paura, che gestisce con razionalità i problemi – spiega Antonella Soldo – se uno stupra è un reato grave, non potrà mai chiedere la cittadinanza. Il referendum è per coloro che vivono e lavorano qui e hanno figli che vanno a scuola. Cinque anni di legale residenza sono più che sufficienti». Infine la coordinatrice nazionale del referendum cittadinanza sottolinea che «abbiamo 230 organizzazioni dai grandi partiti a piccole associazoni che hanno visioni diverse, ma si sono messe insieme su questo tema. Il referendum è una prova di democrazia, chiunque dovrebbe ringraziare perché si faccia».

Viktoria Karam è l’emblema della nuova Italia: «Sono nata a Salerno da genitori brasiliani, mio padre era un giocatore di hockey e hanno deciso di stabilirsi in Italia. Ma io ricevo la cittadinanza italiana solo a 22 anni e mezzo. Per questo ho creato la pagina instagram Volti Italiani, per mostrare la vita reale di ragazze e ragazzi, nati qui o che vogliono diventare italiani. La legge che regolamenta la cittadinanza è ferma da 33 anni, non rispecchia la società di oggi, che è molto più integrata di allora. Il referendum è il primo passo per affrontare il tema e discutere di ius soli e ius scholae. La pagina instagram ha lo scopo anche di contrastare tante fake news, come ad esempio il fatto che la Germania rilasci meno provvedimenti di cittadinanza dell’Italia. Il punto è che se nasci in Germania, dopo 5 anni la cittadinanza è automatica».

«Da come si definisce la comunità dei cittadini si definisce l’identità del Paese – dice Michele Rossi – Questo referendum è un momento di riflessione profonda. È un minimo atto di giustizia, ma anche un atto politico verso chi ha scelto l’Italia, studiando e lavorando, e ora continuare a privare queste persone della partecipazione non è solo ingiustizia, è una feroce manipolazione del tempo di vita. Questo referendum ci fa ragionare su come la Pubblica Amministrazione manipola il tempo delle persone, spesso ricattando i tempi di vita e in questo c’è una saldatura con i temi dei referendum del lavoro».

Rossi fa degli esempi concreti: «In Italia non c’è una politica per entrare legalmente. L’immigrazione è forzatamente illegale e l’unico modo per regolarizzarsi è la domanda di asilo politico, che sta diventando oggetto di una campagna furibonda. Questi sono i tempi di attesa per domanda di asilo a Parma: 5 mesi per arrivare agli sportelli, 13 mesi per l’esame della domanda, e poi fino a 12 per risposta. Sono quasi 3 anni di vita, senza legittimità giuridica, il che vuol dire spesso tre anni di lavoro nero e sfruttamento abitativo e anche criminale. Questo referendum ci pone di fronte a questi temi».

E Rossi lascia una postilla sulla casa: «Se fino a qualche anno fa la situazione era difficile, oggi per un immigrato non è più possibile trovarla, c’è un razzismo sociale».

Questa sera ore 21 appuntamento al parco Bizzozero per la festa di chiusura del Comitato cittadino per i 5 Sì ai Referendum.

Lunedì scorso, per i referendum sul lavoro, c’è stato in piazza Garibaldi il comizio di Maurizio Landini, segretario nazionale Cgil.

Chi vuole approfondire può rivedere le puntate del nostro podcast Parma Parallela Live in cui abbiamo parlato dei referendum, ospitando Joy Olayanju e Maria Letizia Zanoletti del comitato promotore referendum cittadinanza e Matteo Rampini del comitato dei 4 referendum sul lavoro.

Francesco Dradi

L’addio al “Monello”, l’ultimo partigiano

Se ne è andato il 3 giugno, Angiolino Coruzzi, nome di battaglia “Monello”. Era l’ultimo partigiano ancora vivente in provincia di Parma. Avrebbe compiuto 101 anni tra una manciata di giorni.

Ho fatto in tempo ad intervistarlo, un mese e mezzo fa, ricoverato in una casa protetta. Stava già perdendo lucidità ma i fatti salienti che lo videro protagonista nella guerra di Liberazione li ricordava bene. Mi accolse subito con questa frase “Il nostro compito era mandare a casa i tedeschi”

Pubblichiamo qui un breve video, in cui Angiolino Coruzzi ricorda la prima battaglia cui prese parte: l’assalto al presidio fascista di San Michele Tiorre, la notte del 23/24 giugno 1944. Un combattimento feroce, in cui persero la vita diversi militi della RSI e, tra i partigiani, la staffetta Marco Pontirol Battisti.

Il ricordo di Angiolino era ancora nitido. Sono quei particolari del racconto in prima persona che lo rendono vivido, che ci trasportano lì, nell’oscurità, nei pressi della scuola elementare da dove esce il grido delle camicie nere, per darsi coraggio e per incutere timore. «Era il primo combattimento… gridavano “siamo leoni del duce, siam leoni” … eh porca miseria… Sono riuscito a lanciare una bomba a mano dentro dalla finestra e dopo, invece di gridare “siam leoni” dicevano “aiuto, aiuto” perché in una stanza una bomba fa del disastro».

Stavo recuperando altro materiale e informazioni su Angiolino Coruzzi, che militò nella 143^ Brigata Garibaldi ed ebbe una vita intensissima per pubblicarne un ritratto. Lo farò appena possibile (inciso: la documentazione pubblica su di lui è scarsa e sparpagliata, come su tanti altri patrioti che fecero la Resistenza, spesso confinata in ricordi familiari che poi si disperdono, ma questo è un altro discorso).

Ieri i funerali, rapidi, in forma laica e senza orazioni. La benedizione impartita da don Umberto Cocconi e poi un breve ricordo spontaneo di Giovanna Bertani, volontaria dell’Anpi, l’associazione che Angiolino ha frequentato finché ha potuto, assieme al circolo Filippelli, dove passava le sue giornate.

A salutarlo un significativo gruppo di familiari e amici, e una rappresentanza dell’Anpi.

È mancata la presenza delle istituzioni. Nessuno del Comune, nessuno della Provincia. Un peccato. Un segno dei tempi.

Salutiamo Angiolino Coruzzi con le parole che gli ha dedicato Rocco Rosignoli, musicista, cantautore: “Vivere in eterno non è dato a nessuno. Angiolino Coruzzi, partigiano “Monello”, ha lasciato il nostro mondo oggi, all’età di cent’anni. A quanto pare, l’ultimo. Con lui va via tutta la generazione di chi partigiano lo era stato veramente. Ancora l’anno scorso, di questi giorni, era venuto in sede ad assistere a una lettura. L’anno prima, a tesserarsi.

Se vivere per sempre è impossibile, e campare a lungo in relativa salute è qualcosa che si può invidiare, non è comunque per nulla serena per parte mia la ricezione della notizia. Non solo per l’affetto maturato per Angiolino nei pochi anni che l’ho conosciuto, comunque profondo; ma proprio per il tramonto di quella generazione di cui è stato l’ultimo ad andarsene, quella davanti a cui ognuno di noi, a prescindere dall’orientamento politico, ha provato profonda gratitudine e per la cui scelta non potevamo che nutrire profondo incontestabile ed eterno rispetto.

Non erano giganti, erano uomini comuni che hanno fatto una scelta, quella giusta. Guardando indietro, mi chiedo chi vedrà noi e le nostre, me e le mie, come le potrà valutare.

In fin dei conti, la Storia al di là delle frasi fatte non è per nulla un tribunale. Rendere conto a se stessi per primi, senza farsi mai sconti, senza compiere scelte di comodo, rischiando in prima persona sempre, è la lezione che ho potuto imparare dai partigiani che ho avuto la fortuna di incontrare. Per parte mia, ci provo ogni volta.

Grazie partigiano Monello. Grazie a tutti i tuoi compagni che ti hanno preceduto. Qui quel mondo che avete reso migliore va in pezzi. Cercheremo di resistere, i vostri tempi erano più bui, ma forse la vostra anima era più luminosa

Francesco Dradi

L’aeroporto non decolla

Silurato l’ad Tanev dopo tre mesi

Non si intravvedono nuovi voli all’orizzonte. Continua la fase di stallo dell’aeroporto Giuseppe Verdi. Anche per l’estate in arrivo le destinazioni saranno le solite mete balneari: Palermo e Olbia che si aggiungono alle due rotte annuali su Cagliari e Chisinau (Moldova). Spariti i collegamenti AeroItalia su Comiso e Trapani.

Così come è sparito l’amministratore delegato Krassimir Tanev, annunciato in pompa magna a fine gennaio e silurato neanche tre mesi dopo. La notizia si è però saputa solo adesso, consultando gli atti ufficiali perché nessuno dalla proprietà e dalla governance si è premurato di diffonderla tanto che anche i sindacati sono rimasti a bocca aperta nell’apprenderla. Si erano salutati con Tanev a fine marzo aspettando una convocazione in giugno per la presentazione del piano industriale. Invece, ora chissà.

Il ruolo di Ad (o Ceo, in inglese) è tornato sulle spalle di Carlos Criado, il vicepresidente della Centerline, che già aveva assunto il medesimo incarico, con funzione di traghettatore, all’indomani dell’acquisizione di Sogeap da parte della società canadese.

Peraltro anche sul fronte del pacchetto societario permangono delle fumosità. Sempre consultando gli atti (visura camerale) si evince che non c’è ancora stata la conclusione del processo di ricapitalizzazione decisa nell’assemblea straordinaria dell’autunno scorso. In due distinti passaggi fu azzerato il capitale sociale (per coprire le perdite di 3,5 milioni € del 2023) e decisa la ricapitalizzazione sempre per 3,5 milioni circa, ma con l’effetto di estromettere i soci pubblici, impossibilitati a sottoscrivere quote di una partecipata in perdita, e anche altri piccoli azionisti.

Agli atti formali Centerline detiene il 79,5% del capitale sociale di Sogeap ma le azioni rimangono in pegno alla Parma Aeroporto srl, la società di scopo dell’Unione Parmense Industriali. Tradotto non è chiaro se e quanto abbia effettivamente liquidato Centerline all’Upi per le quote azionarie. L’impegno era di versare un sovrapprezzo di 4,5 milioni sul pacchetto azionario precedente, con l’aggiunta di altri 2,7 milioni per la ricapitalizzazione (di questi solo un terzo sarebbe stato versato). Parma Aeroporto srl detiene regolarmente il 20,36% di azioni.

In questo contesto ora arriva un bilancio consuntivo da approvare che, verosimilmente agli anni passati, anche per il 2024 porterà una perdita di oltre 3 milioni € da ripianare.

Lo si può desumere dai dati certificati del traffico aeroportuale (fonte Assaeroporti). Nel 2024 al Verdi sono transitati 133.757 passeggeri (-0,2% sul 2023) da 4.565 voli (-9,3% sul 2023) costituiti per la gran parte da aerei executive. Alla voce cargo spicca lo 0. Nessuna merce è sbarcata l’anno scorso.

E su questo sembra proprio che il capitolo cargo sia definitivamente chiuso e, con esso, l’ampliamento dell’aeroporto. In base alla convenzione Enac-Sogeap del 2019, e con le successive proroghe post-covid, i lavori di allungamento pista devono concludersi al 31/12/2025. Allo stato attuale non solo non è avviato alcun cantiere, ma nemmeno risultano mai ricevute, e quindi spedite, le lettere di esproprio dei terreni privati circostanti l’attuale sedime aeroportuale.

Dunque Centerline su questo aspetto ha tenuto fede alle prime dichiarazioni, ossia il disinteresse completo ai voli cargo. E cosa ne sarà dei famosi 12 milioni € della Regione (in realtà fondi UE depositati al Ministero Trasporti) ? Quelli non spesi, pari a 8,5 milioni, dovrebbero tornare disponibili per lo Stato (e persi dal territorio di Parma) mentre i 3,5 milioni spesi qualche anno fa per aumentare la portanza della pista attuale … quelli dovrebbero essere restituiti da Sogeap, per il mancato completamento dell’intervento. Si vedrà.

Considerato che Sogeap ora è del tutto una società privata non dovrebbe scandalizzare il fatto che nulla venga comunicato all’esterno. E però l’aeroporto non è una fabbrica di cioccolatini. Il suo funzionamento o meno ha ricadute “pubbliche” sull’intera città, senza trascurare il fatto che lo Stato (ossia tutti i cittadini) impiega ogni giorno del personale per garantire i servizi di ordine pubblico: polizia, guardia di finanza e vigili del fuoco. Questi ultimi in particolare sono presenti h 24 con una squadra di 5 vigili, inoperosi per la gran parte del tempo (la stima è di 12 voli al giorno, di cui almeno 10 velivoli privati, cosiddetti executive) mentre le caserme dislocate nel parmense soffrono di una carenza di organico.

Sullo sfondo le invocazioni, da più parti, alla Regione di “governare” e “pianificare” il sistema aeroportuale dell’Emilia-Romagna, dato che l’aeroporto Marconi di Bologna è saturo (10,7 milioni di passeggeri nel 2024) e non può più espandersi. E dunque si vorrebbe dirottare – sembra proprio il verbo giusto – sugli aeroporti minori di Parma e Forlì un po’ del traffico aereo.

La faccenda sembra complicata e, se entrerà nel vivo, farà discutere.

Francesco Dradi

I due mesi che cambiarono Varano

Intervista a Cristina Gabelli eletta sindaca in Val Ceno

Dal Vangelo di Luca, 13, 6-9. Disse anche questa parabola: “Un tale aveva un fico piantato nella vigna e venne a cercarvi frutti, ma non ne trovò. Allora disse al vignaiolo: Ecco, son tre anni che vengo a cercare frutti su questo fico, ma non ne trovo. Taglialo. Perché deve sfruttare il terreno? Ma quegli rispose: Padrone, lascialo ancora quest’anno finché io gli zappi attorno e vi metta il concime e vedremo se porterà frutto per l’avvenire; se no, lo taglierai”.

È domenica 22 marzo, e la lettura del vangelo propone la parabola del fico sterile. Cristina Gabelli la ascolta alla messa, nella chiesa di Vianino. Un paio di settimane prima le hanno chiesto di candidarsi sindaca, ma lei ha risposto di no, secca. Le pressioni dal gruppo civico di Varano Insieme sono continuate, il suo profilo è ritenuto il più adatto in una situazione difficile. Lei tergiversa e ribadisce il diniego. Finché ascolta quella parabola. «Mi ha toccato nel profondo – racconta Cristina Gabelli, neosindaca di Varano de’ Melegari – è una parabola con diverse interpretazioni; per me, parlando in generale, vale la considerazione che anche se hai già dato tanto nella vita, puoi dare ancora frutti, finché ne hai. Il terreno dissodato è stata la proposta nuova, quella di candidarmi, a cui mai avrei pensato nella vita. In tanti riponevano fiducia in me e allora ho capito e ho accettato».

Sono una donna, sono una madre, sono cristiana. Cosa ne pensa?

«Con questa espressione l’identità di una persona viene ridotta a poche categorie prestabilite, trascurando la complessità che si fissa in un cliché identitario, che non solo semplifica eccessivamente l’identità della persona, ma anche la relega a stereotipi culturali e sociali. Penso che sia una stigmatizzazione del femminile. Perché il femminile ha molti colori, non possiamo ridurlo a quello e, tra l’altro, prima di essere donne siamo persone. È molto rischioso parlare per slogan».

Cristina Gabelli, appena eletta sindaca (foto dalla pagina facebook di Varano Insieme)

Quando ha cominciato a circolare la notizia che sarebbe stata lei la candidata sindaco, quali sono state le reazioni? «Beh, le prime reazioni sono state le etichette messe in giro dalla controparte. Nell’ordine: se avessi vinto avrei riempito il paese di “neri” e di “marocchini”; avrei vietato la caccia nel territorio comunale; avrei fatto chiudere l’autodromo». E lei come ha risposto? «Sono andata ad incontrare i dirigenti dell’autodromo: ancor prima di parlare loro hanno sorriso, cogliendo che era una bufala. Sulla caccia come noto i Comuni non hanno alcuna competenza; sui profughi ho ricordato che è stato l’ex sindaco Restiani a metterli nella frazione di Serravalle. Poi, certo, assieme agli altri della Caritas mi sono attivata perché si istituisse per loro un corso di lingua italiana. È stato utile. Lo sa che molti di questi migranti sono stati assunti nelle ditte della zona, che hanno bisogno di lavoratori e non li trovano?».

Gabelli è stata la folata di cambiamento che ha ribaltato Varano de’ Melegari, comune di 2600 abitanti alle porte della ValCeno. La sorpresa di questa tornata di elezioni (vedi il nostro articolo di una settimana fa) con il centrosinistra che ha vinto in un feudo di centrodestra. Non si partiva da zero a zero.

Alle elezioni del 2020 Giuseppe Restiani aveva vinto con un surplus di 150 voti. Lunedì scorso le urne hanno segnato +51 per Gabelli. Al di là delle percentuali (51,68% per Varano Insieme) è il confronto nei numeri assoluti che segna il recupero e il ribaltamento, con 100 voti in più per il centrosinistra rispetto a cinque anni fa. Notando che è cresciuto il corpo elettorale e parimenti una maggior astensione che, a questo giro, ha colpito il centrodestra.

La famiglia di Gabelli è di Varano da qualche generazione. Cristina ha 55 anni, con il marito e due figli, studenti universitari, abita appena oltre il capoluogo. Laureata in Lettere moderne il suo primo impiego è però stato come educatrice nella comunità per il reinserimento degli ex pazienti psichiatrici a Pellegrino Parmense. «Prima ancora, da studentessa, avevo fatto le campagne stagionali in agricoltura. I miei genitori volevano che imparassi l’etica e il sacrificio del lavoro. Dopo l’esperienza di Pellegrino mi sono ritrovata a fare la coordinatrice della casa protetta di Varsi. Ho fatto un corso di formazione apposito. E in seguito ho assunto lo stesso ruolo per la casa protetta Bonzani di Varano, con 61 posti.

Vi ho lavorato per quasi vent’anni svolgendo un ruolo di organizzazione del servizio e gestione del personale. L’esperienza più pesante è stata con il covid. È stato pochi anni fa e oggi quasi non ci ricordiamo più. Siamo stati bravi e fortunati: nessuno degli ospiti anziani si è ammalato ne è deceduto per covid. Avevamo una scorta di mascherine chirurgiche, che all’inizio erano introvabili. Ricordo che ogni giorno facevamo l’incontro di equipe nel salone, distanziati, e io aggiornavo sulla situazione nazionale e locale, riportando quanto sentivo dal premier Conte e dalle altre figure istituzionali. E poi chiudevo sempre raccontando una barzelletta, per tenere su lo spirito in quei momenti.

Tuttavia mi era venuta voglia di cambiare lavoro; riprendendo la laurea in lettere e studiando alla sera, per conseguire le certificazioni necessarie, sono diventata insegnante. Ho conseguito anche un master in mediazione dei conflitti. Dapprima ho fatto qualche supplenza come maestra alle primarie e da un paio d’anni sono insegnante di sostegno alla secondaria. Ora terminerò l’anno scolastico e da settembre mi metterò in aspettativa per fare la sindaca a tempo pieno».

Fa strano e buffo pensare che in soli due mesi è successo tutto. Cristina Gabelli non aveva mai fatto politica attiva. È così?

«Beh, non proprio. Dovremmo chiederci cosa si intende per fare politica. Io credo che l’impegno per migliorare la società sia in qualche modo un impegno politico, anche se non si fa nei partiti o nelle istituzioni. In questo senso ho fatto volontariato attivo in due organizzazioni: Legambiente e Caritas, non solo per una spinta solidaristica ma con un’idea in testa di portare benefici a livello collettivo, per il benessere delle persone».

Incontro Gabelli all’esterno del Castello di Varano. In questo momento non ha un ufficio. Il municipio è off-limits, in piena ristrutturazione con fondi Pnrr, e gli uffici comunali sono dislocati nella ex-palestra e in parte nel castello. Ma non ci sono stanze riservate per sindaco e assessori. Ed è pur vero che il Comune era commissariato da ottobre, ma anche questa è una cosa che lascia perplessi della precedente Amministrazione comunale a Varano. Ci incamminiamo verso il centro del paese e ogni persona che incontriamo ferma la neosindaca per salutarla e salire sul carro della vincitrice. Ricambia cordiale con tutte, alcune sono elettrici, altri no e ne è ben conscia. Tra i convenevoli, giungono due distinte richieste: chi un posto di lavoro; chi vorrebbe dritte su un alloggio da affittare.

Il lavoro e la casa. Alla fin fine le richieste pressanti, quelle dirette dei cittadini, si assomigliano in ogni dove, verrebbe da dire. Negli incontri elettorali le richieste sono state più variegate, e le lamentele anche.

Quali saranno ora le priorità del mandato?

«Intanto va detto che il programma della lista è stato costruito in qualche mese di confronto e ascolto dei cittadini, anche antecedente al mio impegno. Alla luce di quello vedo tre priorità: la prima è la riqualificazione della vecchia palestra, che ora ospita gli uffici comunali. Una volta liberata l’idea è di trasformarla in uno spazio polivalente ma la progettazione vogliamo farla partecipata, assieme ai cittadini. Lo abbiamo detto e lo faremo. L’area è attigua all’asilo nido e alle scuole, in centro al paese. Si tratta di ripensarla in modo uniforme. Il secondo tema è il sociale: dobbiamo riprendere un dialogo serio nel distretto e cercare fondi per le famiglie, la disabilità e le fragilità. Un capitolo a parte è il taxi sociale che va esteso. Il terzo tema sono i lavori pubblici: ci sono buche nelle strade. Vorrei aggiungere un lavoro di raccordo che come sindaca voglio fare con le 20 associazioni del territorio che talvolta fanno eventi che si sovrappongono, faremo un tavolo di coordinamento».

Ha ricevuto molti messaggi e telefonate, quale l’ha sorpresa di più?

«Ce n’è stata una che… Ho risposto al telefono a tutti, anche ai numeri che non avevo registrato. E una persona mi saluta così: “Ciao, sono Michele, volevo farti i complimenti”, sono rimasta interdetta perché non riconoscevo il timbro di voce e allora ho chiesto: “Scusa, Michele chi?”. Era De Pascale, il presidente della Regione, che figura… abbiamo discorso un po’ ed ho scoperto con piacere che è una persona semplice e motivata».

Dunque deduco che in campagna elettorale non vi eravate mai sentiti.

«No, mai. Assieme al gruppo abbiamo deciso di non chiamare nessuno che fosse espressione di un partito con incarichi provinciali o regionali. Questo per una coerenza di fondo, per rimarcare il carattere civico della lista, benché fosse noto che tre candidati sono iscritti al Pd».

Lei non è iscritta a nessun partito ma si riconosce nel centrosinistra, giusto?

«Ho idee progressiste ma in questo momento non mi identifico in un partito. Considero necessario mantenerci ben saldi ai principi costituzionali. Non so bene cosa sia la sinistra oggi, ma i valori dell’accoglienza e dell’inclusione devono essere il percorso su cui lavorare… senza ignorare i problemi, anzi affrontandoli. Ad esempio l’immigrazione deve essere governata e non trasferita in Albania, come a voler eludere il tema. E intanto il problema rimane inalterato sul territorio».

E, giustappunto, il prefetto di Parma, Garufi ha appena chiesto ai sindaci di impegnarsi di più, per i migranti.

«Vedremo quali saranno le richieste».

Francesco Dradi