Un episodio di guerriglia (strada della Cisa, novembre ’44)
Nella notte fra il 6 e il 7 novembre 1944 squadre dei Distaccamenti “Carpi”, “Stomboli” e del Comando Brigata della 12^ Garibaldi per complessivi 60 uomini, condotti personalmente dal Comandante la Brigata, Dario, si appostavano sulla strada nazionale della Cisa nel tratto fra Casola e il Bivio Terenzo per attaccare colonne nemiche.
Abbiamo il privilegio di pubblicare un racconto inedito su uno dei tanti avvenimenti della guerra di Liberazione dal nazifascismo. L’episodio è narrato in prima persona dal partigiano Enzo Gabrielli “Vispo”, che ha lasciato una testimonianza scritta della sua vita partigiana, dall’estate ’44 alla Liberazione nell’aprile ’45. Un fascicoletto fornito dal figlio Gabriele, assieme ad alcune foto e al rapporto del Comando della 12^ Brigata Garibaldi, che trovate ivi riprodotte. Quella notte di novembre del ’44 “Vispo” aveva 19 anni.
Un episodio di guerriglia
7 Novembre 1944, strada della Cisa, Casola di Terenzo
Un giorno il comando diede l’ordine di preparare 20 uomini con il miglior armamento possibile perché nella notte avremmo dovuto attaccare una forte autocolonna nemica. Verso sera eravamo già pronti. Il nostro distaccamento “Carpi” contava circa 35 unità, perciò sarebbero rimasti a difesa della località in 15.
Ricordo che prima di partire diedi il portafoglio contenente poco danaro e qualche fotografia a un Partigiano che rimaneva raccomandando di consegnarlo ai miei parenti, qualora non fossi tornato; e così fecero buona parte dei 20 compagni prescelti.
Ci dirigemmo nella località di appuntamento, che era Ravarano, dove avremmo trovato altri 40 Partigiani, con i quali insieme avremmo dovuto portarci in località Casola, dove probabilmente avrebbe dovuto aver luogo l’attacco.

Ci furono brevi parole da parte del comandante il quale, dopo aver trcciato l’organizzazione e il punto preciso dove avremmo intercettato la colonna nemica, disse anche che dovevamo colpire e poi, anziché fuggire, come era nella caratteristica della guerriglia, tentare di impossessarci degli automezzi rimasti efficienti, con tutto il materiale possibile.
Ci incamminammo verso il torrente Baganza; erano i primi di novembre, l’acqua era molto alta e, per attraversarlo, facemmo uso di una funivia per il trasporto della legna, così si attraversò senza nessun bagno fuori stagione.
Passando vicino a un gruppo di case ci levammo le scarpe perché gli abitanti, sentendoci, sarebbero usciti per curiosità e, accendendo qualche luce, avrebbero potuto attirare l’attenzione dei tedeschi di stanza a Cassio e mandare a monte tutti i nostri piani.
Dopo mezz’ora di ripida ascesa arrivammo sulla statale della Cisa, ed ecco improvvisamente spunta da una curva, distante qualche centinaio di metri, una colonna di automezzi tedeschi. Noi del “Carpi” eravamo in quel momento nel mezzo della strada e, senza esitare un attimo, ci gettammo nei fossetti laterali, mentre gli altri che stavano ancora salendo si buttarono a terra lungo il ripido pendio.
Gli automezzi ci passarono vicinissimi e mi ricordo sempre di quelle ruote gigantesche, che non finivano mai più di passare.
Io ero dalla parte destra della strada, andando verso Berceto, e ricordo che quei mastodontici automezzi mi passarono a poche decine di centimetri… naturalmente sembravano tanto più grossi, data la mia posizione di inferiorità in cui mi trovavo. Ero disteso dentro il fosso di schiena e con lo sten in posizione di fuoco.
Vedevo le sagome dei tedeschi dentro i camions e penso di essere rimasto senza respirare qualche secondo in più delle mie capacità respiratorie.
Gli altri compagni, che in quel momento si trovavano pressapoco nella mia stessa posizione, penso che anche loro abbiano passato un attimo di grande paura. Se i tedeschi si fossero accorti della nostra presenza sarebbe stato un massacro, poiché avrebbero lanciato decine di bombe, che tenevano sempre a portata di mano.

Terminato questo spavento ci si radunò; il comandante diede l’ordine di prendere immediatamente posizione, come stabilito nella riunione di Ravarano e cioè: una mitragliatrice in principio dello schieramento poi, per un km, dislocati su vari cucuzzoli, caratteristici della statale della Cisa, i 60 Partigiani, in fondo un’altra mitragliatrice.
Queste armi all’inizio e alla fine non avrebbero permesso nessuna fuga al nemico. Il comandante, posto al centro dello schieramento, avrebbe dato il via all’attacco con una raffica di mitra.
Era quasi mezzanotte, che si sentì un ronzio di automezzi ma, essendo pochi, 4 o 5 in tutto, e non la colonna prestabilita, il segnale dell’attacco non venne dato.
Aspettammo più di un’ora, io mi ero persino addormentato sulla roccia, nonostante il freddo intenso, quando udii un mio compagno che svegliandomi, disse: “Sono qui”.
Erano decine di automezzi pesanti, macchine di ogni tipo che entravano nella trappola da noi tesa.
Preparai in fretta la bomba e, a questo proposito, vorrei ricordare che in tutto il distaccamento ne avevamo due; poi tolsi la sicura dallo sten.
In quel momento si sentì la raffica del comandante che segnalava di aprire il fuoco. Io e l’altro compagno lanciammo le bombe, poi incominciammo una sparatoria infernale, qualche macchina tentò la fuga, ma fu inchiodata dal fuoco delle mitragliatrici e dei fucili mitragliatori.
Per oltre mezz’ora fuoco continuo, poi per un attimo silenzio di tomba, solo qualche gemito giungeva dagli automezzi distrutti; fu in quel breve periodo che si levò, dal bel mezzo della colonna tedesca, un razzo. Era il segnale di soccorso che un soldato tedesco era riuscito a lanciare.
Il comandante però ordinò ugualmente di avvicinarsi al groviglio di automezzi ma, una bomba a tempo, lanciata da un nemico ferito, scoppiò in mezzo al drappello che scendeva verso i camions e il comandante del nostro distaccamento rimase gravemente ferito (il partigiano “Guerra” fu colpito al petto dallo scoppio della bomba, per sua fortuna indossava un giubbotto protettivo dell’esercito inglese che in qualche modo attutì il colpo, altrimenti mortale ndr).
Mentre il compagno Ivan finiva a colpi di mitra il tedesco che aveva lanciato la bomba io, alzatomi, poiché lo scoppio mi aveva buttato a terra, cercai di trascinare il corpo svenuto del nostro comandante, ma non riuscendo da solo chiamai altri compagni in aiuto, con i quali si raggiunse una cascina, ove i contadini deposero il ferito sopra una specie di barella che, poi attaccata ai buoi, lo portarono verso Ravarano.
Mi ricordo che risalii di nuovo verso la zona di combattimento ed incontrai il comandante di Brigata, il quale aveva già dato l’ordine di ritirarsi in piccoli gruppi. Certamente temeva la reazione nemica che sarebbe arrivata da Fornovo e da Berceto.
L’alba incominciava a spuntare quando tutti stavamo rientrando alle Chiastre.
Ci buttammo sui pagliericci esausti, vestiti, con le scarpe, con le armi addosso, e ci svegliarono verso mezzogiorno, per mangiare, i compagni che non avevano partecipato all’azione.
Gabrielli Enzo partigiano Vispo
Distaccamento Carpi, 12^ Brigata Garibaldi


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