Le zone rosse e la politica del soffiafoglie

Ormai settimanalmente sui media locali leggiamo o sentiamo segnalazioni provenienti da varie zone della città in tema di sicurezza. La moda del momento è quella di invocare (e ottenere prontamente con tanto di annuncio in favore di telecamere) la salvifica Zona Rossa. Rapida, visibile, rassicurante. E proprio per questo politicamente molto spendibile.

Funziona più o meno così: si individua un’area problematica, si fa qualche controllo in più, si allontanano le presenze ritenute moleste o pericolose. Il risultato è immediato: la piazza sembra più ordinata, la situazione appare più tranquilla, il cittadino si sente sollevato. Per qualche settimana, fino alla scadenza del provvedimento.

Chiunque abbia osservato un vicino di casa all’opera con un soffiatore coglierà la similitudine: aria, polverone, rumore, movimento. Le foglie scompaiono dal campo visivo, il cortile appare pulito. Missione compiuta. Solo che le foglie non sono state raccolte. Sono state spostate di qualche metro, davanti a un altro portone, su un altro marciapiede. Scaricate su qualcun altro.

Le zone rosse funzionano in modo sorprendentemente simile. Non eliminano degrado e microcriminalità, li soffiano sotto casa di qualcun altro.

Naturalmente il cittadino che non si ritrova più lo spacciatore sulla porta è contento, e questo è umanamente comprensibile. Nessuno dovrebbe essere costretto a convivere quotidianamente con situazioni di degrado o insicurezza. Ma il punto non sono solo le lamentele del singolo o del comitato di quartiere. Il punto è che la persona ritenuta pericolosa o molesta, allontanata dalla “zona rossa”, non smette di esistere. Non cambia condizione, non trova alternative. Cambia solo indirizzo, magari di poche centinaia di metri, quel tanto che serve per uscire dal nostro campo visivo.

Tant’è che alcuni cittadini dell’Oltretorrente si lamentano di un aumento, nei borghi, di pusher e “consumatori” conseguenza dell’allontanamento dalla zona rossa nel Parco Ducale

Il principale merito delle zone rosse è quello di produrre sicurezza percepita, ma la sicurezza reale — quella che dura nel tempo e migliora davvero la vita della città — richiederebbe altro: integrazione sociale, politiche abitative, servizi di prossimità, presa in carico delle fragilità.

Tutta roba poco instagrammabile, costosa, lenta, che richiede competenze tecniche e lungimiranza. Non produce risultati immediati da raccontare in conferenza stampa con qualche slogan a presa rapida, non fa rumore. Un po’ come raccogliere le foglie pazientemente con una ramazza, invece di soffiarle via.

Il rischio è confondere la gestione dell’ordine pubblico con il governo della città. Le zone rosse possono essere misure emergenziali temporanee (non a caso la legge prevede una rapida scadenza dei provvedimenti), ma diventano un’arma di distrazione di massa se vengono contrabbandate come soluzione strutturale dei problemi.

Un po’ come il soffiafoglie: può essere utile, a patto che nessuno ci racconti che grazie a quello farà sparire l’autunno.

Rolando Cervi

0 commenti

Lascia un Commento

Vuoi partecipare alla discussione?
Sentitevi liberi di contribuire!

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *