Sanità, esami impossibili da prenotare. Perché non siamo arrabbiati sul serio?

Come sta succedendo a molti che cercano di prenotare una prestazione, anche a me è toccato restare pietrificata quando ieri, in farmacia, ho cercato di prenotare una ecografia. Due posti, uno in cui non potevo liberarmi, un secondo troppo avanti nel tempo. Poi, più niente fino al 2026.

Questo nonostante qualche giorno fa l’Ausl di Parma abbia vantato mirabilie sulla riduzione dei tempi di attesa (leggere il comunicato per credere).

L’ecografia in questione non richiede strumentazioni particolarmente sofisticate. O se le richiede, non c’è modo di saperlo. Saluto la farmacista, imbarazzata anche lei, e mi ripropongo di pensare un momento al da farsi. Sono già diversi gli esami e visite che di recente ho fatto privatamente. Da due anni, 4 su 5: persisto solo con gli esami di laboratorio.

Quindi questa volta mi premeva non soprassedere, usare il SSN, che sarebbe un diritto anche mio, pagando regolarmente le tasse da oltre 20 anni. Riprovo quindi da casa, sul fascicolo sanitario: volevo accedere anche alle strutture in provincia di Reggio Emilia, cosa che in farmacia non era possibile. Bene, per modo di dire. Nessuna disponibilità. Nessuna. Le due di poco prima erano sparite. Chiamo quindi la clinica privata dove ho fatto l’ultima, mi propongono martedì, per 100 euro.

Prima di accettare decido di provare la libera professione, dal fascicolo. Un avviso mi informa che la prestazione che cerco a Parma non c’è, posso andare su altre aziende: Romagna, Bologna, Ferrara, Modena, Reggio Emilia, Sassuolo, Piacenza… tutte tranne Parma. Va bene…per modo di dire. Ma in fondo, per me, andare a Reggio non è un grosso problema. Cerco, ed ecco la terza sorpresa: 4 opzioni ogni giorno, la prima a partire da 2 ore dopo. Subito, immediato. Costo: 55 euro. Sempre a Reggio Emilia, con il SSN non c’era nessuna possibilità.

Questo è solo uno dei tanti casi, potrei menzionare una visita dermatologica cercata a gennaio per la quale il primo posto era a febbraio 2026. Per mio padre, ultraottantenne. Risultato? Privato. Con la sua pensione, quando avrebbe diritto all’esenzione.

Sono certa di non essere vittima di una sfortunata congiuntura, ma di essere solo una delle tante, tantissime persone che sperimentano la negazione di un diritto, nel silenzio generale. Le conseguenze di questa negazione le possiamo anche elencare. La povertà è il primo fattore di rischio per la morte da tumore. Lo dicono le statistiche, non io. La diagnosi precoce serve anche per alleggerire, a tendere, lo stesso SSN, ma la stiamo delegando ai privati, di fatto selezionando solo chi può permettersela. Loro, noi, i fortunati, ingrassiamo il sistema di sanità privata, già bello che pasciuto grazie alle convenzioni. Gli altri, arrivano a farsi curare solo quando ormai è tardi.

Questo è la negazione concreta dei principi costituzionali in base ai quali in Italia abbiamo libero accesso alle prestazioni sanitarie, pagando un ticket sostenibile da chiunque, e avere quel sistema sanitario nazionale di cui andavamo tutti fieri, uno dei migliori al mondo. Ma soprattutto, è la negazione della salute, con il livello diagnostico possibile oggi.

Perché non stiamo scendendo in piazza a protestare contro questa vergogna enorme? Perché non siamo arrabbiati seri? Perché andiamo privatamente. La sfanghiamo ogni volta, obbiettivo raggiunto, e chi non se lo può permettere, si arrangi. In silenzio, viene smantellata la dignità di chi non ha voce o mezzi per fare rumore, che si ammala, ed è da solo.

Chiara Bertogalli

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