ReSister, le femministe oltre il confinǝ

Intervista a Elisabetta Salvini e Ilaria La Fata della Casa delle Donne

Tremate, le streghe sono finite in vetrina. Se c’è una mossa a effetto molto parmigiana – e anche parallela – è piazzare la Casa delle Donne in pieno centro, con due belle vetrine spaziose, in strada Melloni 1, in locali concessi dal Comune di Parma.

Al mercoledì sera, in fondo al salotto di via Cavour, svoltate a sinistra e le vedrete che discutono, si infervorano e si divertono. È il riconoscimento “pubblico” che il femminismo ha aperto una nuova stagione.

Se volete lasciarvi coinvolgere c’è l’occasione del Festival ReSister (venerdì 19, sabato 20, domenica 21 al parco della musica, ex Eridania) giunto alla terza edizione e organizzato, appunto, dalla Casa delle Donne. Come evento collaterale inaugura oggi alle 18.30, in strada Melloni 1, la mostra fotografica “Diane” con il live della cantante attivista Lgbtqia+ Diane Arthemise Tripet.

Per comprendere come si sta concretizzando questa rinascita del femminismo abbiamo intervistato Elisabetta Salvini e Ilaria La Fata della Casa delle Donne.

Partiamo appunto dalla Casa che da maggio ha trovato casa, ossia una sede. Come funziona, che attività fate?

Elisabetta Salvini: «La Casa delle Donne è uno spazio di libertà, di alleanze e di condivisione di saperi, nei quali poter praticare il femminismo e sentire un senso forte di sorellanza e partecipazione. Per ora la Casa è aperta tre giorni alla settimana e da quando a maggio abbiamo inaugurato la nostra sede – dopo sei anni di attesa – sono successe talmente tante cose che ci riesce difficile metterle in fila.

La Casa delle Donne è orizzontale: tutto quello che decidiamo passa dall’assemblea, non si delega. Ci troviamo al mercoledì sera e siamo in vetrina, coi passanti che ci fotografano. Adesso che abbiamo la sede stiamo iniziando a costruire automatismi che prima, da nomadi, non potevamo avere.

Infatti, in soli tre mesi di vita, abbiamo già ospitato un corso di scrittura creativa per ragazze adolescenti, un pranzo e un corso di afrogym organizzato dalle donne di Ciac, un primo incontro di formazione con le operatrici del centro antiviolenza, la presentazione del libro di Marta Cuscunà in collaborazione con Insolito Festival, un incontro con i ragazzi e le ragazze del Toschi serale che hanno progettato i banner che appenderemo al nostro festival ReSister. Inoltre continua la nostra attività di divulgazione, siamo state chiamate a parlare a Borgotaro, andremo in Università e proprio in questa settimana ospitiamo in via Melloni un laboratorio teatrale tenuto da Elisa Cuppini e una mostra fotografica dal titolo Diane di Giona Mottura, che racconta l’affermazione di identità di un’artista e cantautrice svizzera».

Il fatto che la sede sia in centro è importante, mi pare.

Salvini: «Sì, all’inizio abbiamo vissuto questa sede come un ripiego rispetto a quella che pensavamo al Montanara. In realtà una sede in centro è molto potente. Siamo aperte al lunedì, mercoledì e sabato, alla mattina. Intendiamo la Casa delle Donne come luogo di cura e di lotta. Cura non come “care giver”, ma la cura delle nostre relazioni. Ci siamo rese conto che è difficile costruire relazioni politiche profonde, e adesso stiamo facendo questo all’interno».

Ilaria La Fata: «Verso l’esterno cerchiamo di dare molto spazio anche all’accoglienza, per questo abbiamo attivato lo “sportello degli sportelli” un servizio di accompagnamento ai servizi territoriali. Se qualcuna non sa bene come fare quando ha un problema o è in difficoltà, la indirizziamo nel posto giusto. La Casa delle Donne è una rete dal 2019 con tutte le realtà attive e sane in città. E le istituzioni rispondono».

Com’è la partecipazione?

Salvini «Nelle assemblee ci sono sempre tante persone. Al momento frequentano stabilmente 40 donne. La Casa delle Donne è come se fosse un treno che va, con tante persone che magari non si vedono ma che ci sono sempre e sono l’anima della Casa».

La Fata: «Il festival di quest’anno è stato costruito un pezzettino da ognuna. Un lavoro collettivo».

ReSister, appunto, tre giorni fitti di festival. Per qualità e quantità forse uno dei festival a impronta femminista più importanti a livello italiano. Qual è il messaggio di quest’anno?

La Fata: «Secondo me siamo state tra le prime realtà a inventare un festival così, era il 2021 ancora in epoca covid. Adesso ce ne sono tanti in giro, perché si sente un grande bisogno di stare insieme e parlare di certi argomenti e l’idea di un festival femminista è un’esigenza che comincia ad essere diffusa. A Milano per esempio fanno un festival sulla mascolinità (Hey Man, 20-21 settembre). Lo sforzo che chiediamo a chi interviene è di essere sempre molto comprensibili per il pubblico. Bisogna avere ancora molta voglia e coraggio di spiegare il femminismo, che non è superato, e non è anni Settanta».

Salvini: «Non è un caso che il primo festival fosse sulle “parole difficili”. Sappiamo che il femminismo utilizza un linguaggio difficile, e quindi proviamo a spiegarlo. La complessità non deve farci paura. Nella seconda edizione c’è stata l’idea di “tenere la testa alta”. In questa terza il tema è “Sconfinatǝ” con la schwa (ossia la e rovesciata: ǝ . È una vocale neutra, usata come simbolo per rappresentare tutti, anche chi non si riconosce nel binarismo di genere, ndr). Nasce da una situazione di angoscia che sentiamo tutte, rispetto alla gestione dei confini nel mondo. I nazionalismi, vediamo quello che sono ancora capaci di fare nel 2025 in diretta tv. Ma c’è anche l’idea che sconfinare significa spostare lo sguardo, togliere i confini che la nostra cultura ci impone: i comportamenti da maschi e da femmina. Il confine di una mascolinità ingombrante. Le donne negli anni Settanta su questo hanno lottato, il loro è stato un movimento di liberazione. Quindi questo tema ci porta anche a ripensare le nostre relazioni, all’amore, a quell’amore romantico che ci è stato raccontato e che ha tanti limiti…» «… ed è sempre un po’ una gabbia» conclude La Fata.

Se guardiamo all’attualità purtroppo ogni settimana c’è una brutta notizia per le donne. Il gruppo facebook “mia moglie”, poi il sito phica.net , la sentenza del giudice di Torino che assolve da maltrattamenti… Invece le notizie positive che riguardano le donne sembrano limitate ai successi sportivi. C’è una distorsione in queste letture?

La Fata: «La società è piena di stereotipi. Il punto è che la stampa mainstream fa uscire le notizie buone sempre puntando l’accento sui singoli successi. Ancora in certi ambiti sportivi si dice che qualcuna ha dimostrato di essere “una donna cazzuta”. Significa che sei meritevole se hai successo ma intanto resti dentro dei binari che sono quelli del potere maschile. Come dire che per essere vincenti devi stare nel modello patriarcale che è così da secoli. Invece per noi contano le dinamiche dal basso, impostare una società che esca dalla logica della performance. Ad esempio ci sono le donne curde o alcune latinoamericane che stanno provando a innestare un modello di comunità paritario, ma non passano le loro storie, e di quel modello non ne sappiamo quasi niente».

Salvini: «Vedi, il femminismo degli anni Settanta ha lasciato una traccia profondissima, da cui non si torna indietro. Ma la narrazione non è stata memorabile, non ha lasciato il segno altrettanto forte. E da sempre si deve ricominciare a dirlo da zero, come se non ci fossero radici e continuità storica. La parola femminicidio, che connota un tipo di delitto molto preciso, e dà consapevolezza viene da un’elaborazione femminista. Anche di recente i più grandi movimenti di cambiamento a cui assistiamo vengono dalle donne: Argentina, Iran, il Black Lives Matter… perché è compito della donna agire una politica trasformativa che metta in discussione tutto».

La violenza sulle donne e la donna come oggetto sessuale. Sono questi i due problemi più grossi che permangono?

Salvini: «Sono problemi oggettivi e i numeri lo dicono. Ma il problema vero è la costruzione delle relazioni che si basano su dinamiche di potere, di controllo, prevaricanti e che rientrano all’interno di una cultura patriarcale. Il lavoro sulle relazioni è complesso e non porta a risultati immediati. È più facile tamponare con leggi sempre più stringenti o con azioni legali sul revenge porn. Vanno bene, però eludono la domanda: perché agiamo in assenza di consenso? Questa è una mancanza essenziale, come si fa ad avere relazioni amorose, con un marito, che non si basano sul consenso? Il consigliere regionale di Fratelli d’Italia che dice che la violenza deriva da una devirilizzazione maschile è grave ma interroga molto perché dice che c’è ancora una necessità maschile di riconoscersi in costrutti di un virilismo che da sempre è quello che cerchiamo di sgretolare».

Eppure, stando ad alcune analisi politiche sull’elezione di Trump a presidente Usa l’anno scorso, sembra che questo aspetto di “protezione patriarcale” che conferma il ruolo maschile predominante sia stato un elemento vincente, rispetto ad un eccesso di asterischi e scwha nel campo Dem. Come valutate questa cosa?

Salvini: «C’è forse di più, delle studiose spiegano che lo slogan Maga andrebbe correttamente interpretato non come “rifacciamo l’America grande” ma rifacciamo l’uomo, il maschio, americano grande. È un’analisi giusta perché Trump dà risposte rassicuranti sotto questo profilo, invece il femminismo non è rassicurante, né dà risposte certe. Quanto allo schwa non è un eccesso ma il segno di un linguaggio aperto. A proposito ci sono studiosi, ad esempio Acanfora, che invitano a non usare più il termine “inclusione” ma piuttosto quello di “convivenza”, perché appunto dovremmo parlare di convivenza delle differenze. Quanto di più lontano dalla politica trumpiana. Se vogliamo tenere insieme le differenze il linguaggio è il primo strumento a disposizione, specie per chi non si riconosce nel binarismo di genere».

Ecco, la politica progressista, il centrosinistra italiano, come dovrebbe affrontare questi temi?

La Fata: «Potrei rispondere banalmente che, usando parole vecchie, se abbandoni la lotta di classe hai già perso, o se stai nel solco del neocapitalismo… io credo che in tanti vediamo che il rischio del centrosinistra sia quello di allontanarsi dalla società che fa sempre più fatica a tirare avanti. Che cosa rimane dell’impegno politico, della differenza con la destra, se non fai battaglie di sostanza, anche nel linguaggio ma non solo…»

Eppure ci sono diverse persone, in effetti uomini, che credono che le battaglie di genere siano perdenti…

Salvini: «Il linguaggio non è una battaglia di costume, il linguaggio è la forma massima di restituzione della complessità della società e non si può non tenerne conto. Non è casuale che Trump affermi “esistono due generi”, che la Meloni si autodefinisca “Il” presidente. Il dirigismo linguistico del fascismo non è una cavolata. Trump lo sta facendo, e ha il coraggio di essere antidemocratico, quando dice “baciatemi il c… ».

Domandone finale: cosa vuol dire essere femminista, oggi?

La Fata: «Essere femministe non è possibile se non in relazione con le altre battaglie che ci sono adesso. È quella che si chiama intersezionalità, vuol dire che la mia battaglia è quella delle minoranze, quella ambientale, di chi è povero, discriminato, di chi è fuori dal binarismo. Se no sarà sempre un modello a vincere».

Salvini: «Aggiungo che bisogna sempre misurarsi con il senso di inadeguatezza, la cosiddetta sindrome dell’impostore che non è solo femminile ma che tantissime compagne hanno e dobbiamo lavorarci un po’ sopra. A me la Casa delle Donne rende potente non perché dà un potere ma perché dà la possibilità di fare delle cose. E credo che con questo gruppo, in cui ci sono ragazze giovanissime, siamo sulla strada giusta. Hanno molte paure ma ricordo sempre quello che diceva Nilde Iotti, presidente della Camera: lei riusciva a parlare in Parlamento perché diceva le parole delle donne che stavano in piazza Prampolini a Reggio. Questo dobbiamo fare».

Francesco Dradi

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