Il Giornalär abbassa la serranda
Un’altra edicola che chiude, con quel che comporta.
Paolo Corradi, “al Giornalär” di via Trieste, qualche giorno fa ha abbassato per sempre la saracinesca, per godersi la meritata pensione.
Abbiamo raccolto ricordi e impressioni di vita e di mestiere.
«I miei genitori a fine anni Sessanta rilevarono l’edicola in via Farini. – racconta Paolo, al Giornalär – Poi si sono spostati in via Garibaldi. E a un certo punto presero anche l’edicola in via Verdi, così ne avevano due. Io davo loro una mano, ma ho fatto studi da elettrotecnico e per diversi anni ho lavorato come elettricista. Quando mio padre è morto ho affiancato mia madre in via Garibaldi, nel ‘97 e poi ho rilevato l’edicola in piazzale Picelli. Era il 2000. Era un’edicola notturna o meglio era aperta 24 ore. È stata una bella esperienza. Facevo molte notti. Eravamo in tre a gestirla, ma considerando che una era donna, la notte in larga parte la facevamo io e il mio socio. Il turno era dalle nove di sera alle sei di mattina.
Il chiosco dell’edicola era vicino alla chiesa di Santa Maria del Quartiere, prima che il Comune rifacesse piazzale Picelli, proprio in quegli anni, smantellando il chiosco. Allora abbiamo rilevato la cartoleria che faceva angolo con via Costituente, trasferendoci l’edicola. Dove adesso c’è il Canapaio ducale».

«E lì abbiamo trascorso 5 anni, davvero una bella esperienza. Divertente, soprattutto per la notte.
Ho conosciuto dei personaggi curiosi e interessanti che con la scusa del giornale passavano per far due chiacchiere in orario notturno. Si fermavano: due chiacchiere e la Gazzetta.
Quando ancora non c’era internet, era agli albori, non così diffuso e quindi il giornale era atteso. Caspita se era atteso.
A mezzanotte, o meglio tra mezzanotte e l’una, arrivavano 200 gazzette, la prima edizione. E andare alla mattina ne rimanevano ben poche. Adesso in tutto il giorno vendo 80 copie della Gazzetta. Sì, lo ricordo come un periodo molto divertente. Uno che passava sovente era Nello Fochetti, lo showman. Ogni tanto faceva delle riprese per i suoi video, scherzava molto.
Dopo ho fatto una pausa, nel senso che dal 2006 al 2013 ho lavorato nel centro di fisioterapia in via Lasagna, come segretario. Poi ho sentito che mi mancava questo lavoro. C’era l’occasione dell’edicola in via Trieste e l’ho rilevata. E da poco ho anche traslocato casa dall’Oltretorrente a San Leonardo, in via Venezia.
La bellezza del lavoro dell’edicolante è il contatto con la gente. Perché passerà anche adesso, tutt’ora, almeno un centinaio di persone al giorno. E in un’edicola di quartiere si crea un rapporto di amicizia. Diventa un punto di aggregazione e anche per iniziative. Per dirne una con un amico abbiamo raccolto fondi per l’ospedale, così, con semplicità.
Era diventato un punto di riferimento per il quartiere che adesso mancherà».
Il giornalär oltre che i giornali offriva piccoli servizi: fotocopie, cancelleria, punto ricezione e spedizione pacchi.
«Ho provato a vendere la licenza ma nessuno si è voluto impegnare a portarlo avanti. Il prezzo? 30 mila euro trattabili. Il fatturato si aggira sui 120 mila euro all’anno. Quindi togliendo tutte le spese… ci viene fuori lo stipendio, ma non è che… uno stipendio normale.
Sì, ma con l’inconveniente di essere impegnato 28 giorni su 30. E con quali orari. Dalle 5 e mezzo di mattina all’una del pomeriggio e poi dalle quattro alle sette. Tutti i giorni feriali tranne il sabato pomeriggio che lo dedico all’Assistenza Pubblica.
Sono gli orari che frenano gli eventuali acquirenti, più che l’aspetto economico.
Io iniziavo alle 5 e mezzo per portare i giornali ai bar dei dintorni, che aprono alle 6. Era un impegno che mi ero preso e facevo volentieri.
Per il resto l’edicola potrebbe aprire anche alle sei e mezza, prima di quell’ora non si vede nessuno».

«Eh sì, le edicole andranno a sparire, temo. Più che internet, che ha dato una bella botta all’inizio con i primi giornali online ma poi si è assestato, devo dire che la rovina degli edicolanti è stata la liberalizzazione delle vendite dei giornali nei supermercati. Si è creata un’abitudine per cui molte persone comprano le riviste nei supermercati, facendo la spesa. Qui si viene ancora per il quotidiano, specialmente la Gazzetta che con la tessera (per gli abbonati ndr) si può prendere solo in edicola.
Devo dire che è venuta a mancare un po’ di qualità nei giornali. Di giornalisti seri ce n’è meno e poi si trovano molti errori. Sì, tanti errori, tanti strafalcioni vedo».
E adesso che smette? Che sentimenti ha?
«Per il momento sono contento. Finalmente potrò dedicare un po’ di tempo ai miei hobby a partire dalla musica: riuscirò a riprendere a suonare… il basso elettrico. Suonavo nella band dei Rocchettari.
Poi ho la moto, il giardino da curare, i gatti… Ho 6 gatti, sa? Ne ho di cose da fare. Tornerò a fare qualcosa sull’elettronica… Quindi un po’ c’è anche un senso di liberazione, via.
Quando uno arriva alla fine del lavoro, dice… Finalmente!
Mi dispiacerà per il rapporto che si è creato con i clienti. Quello sì, mi dispiacerà un po’».
Francesco Dradi
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