Genoa-Parma 0-0, trasferta vietata
Trasferta vietata: era nell’aria.
Gli scontri di Cremona, il gemellaggio tra Boys e Ultras Tito Cucchiaroni della Sampdoria hanno fatto prendere questa decisione alle autorità. È sempre una notizia dolorosa, specie per certe partite.
Genova non è lontana, offre lo spunto per qualche gita e sosta enogastronomica gradita e in più la visuale dallo stadio è tra le migliori d’Italia e c’è il già citato gemellaggio ma con l’altra squadra genovese.
Le trasferte, il tifo organizzato hanno subito una evoluzione considerevole negli ultimi decenni.
Negli anni ‘60 e ‘70 erano qualcosa di quasi esotico: non ci si spostava per andare a vedere la propria squadra, ma per una domenica fuori città, l’occasione per provare qualche ristorante di grido o al limite era un’appendice a una visita parenti.
Già dagli anni’80, invece, la presenza dei tifosi in trasferta aumenta e diventa qualcosa di fortemente identitario: portare i proprio colori e cori a sostegno dei crociati, anche lontano dal Tardini, e dimostrare lo spessore e qualità del proprio tifo.
In quegli anni e nel decennio successivo, è diventato un’occasione di scontro fisico: cercato, desiderato e talvolta addirittura necessario, con quella volontà un po’ tribale e primordiale di vendicare torti o assalti precedenti.
In una domenica in cui a Rieti dei delinquenti travestiti da tifosi si sono macchiati di un assassinio assurdo e ingiustificabile, a latere di una partita di basket di serie A2, è oltremodo complicato parlare di questi argomenti.
Ma oltremodo necessario, perché quasi nessuno lo fa; se non per dire, appunto, basta violenza negli stadi.
Però, e c’è sempre un però in questo mondo complesso, bisogna poi avere a che fare con la realtà.
Lo stadio, è un luogo dove la violenza è una eventualità; non come scelta preordinata, ma come evento che possa accadere. E a cui si deve essere preparati.
Ultimamente non lo sono le forze dell’ordine, incapaci di gestire masse, folle, provocazioni; e talvolta con responsabilità non indifferenti.
Anche qui, ricordo da ragazzo, sia durante le trasferte che in casa, le FFOO che accompagnavano, si relazionavano alla pari con i tifosi, in una sorta di collaborazione; perfino la Digos sceglieva sempre il dialogo, rispetto alle altre possibili opzioni.
Si viaggiava in treno su convogli dedicati, che erano sì dei terreni franchi con diverse norme civili sospese; ma in cui raramente succedevano disastri.
Oggi, nella stragrande maggioranza delle occasioni (ci sono per fortuna salvifiche eccezioni), il tifoso è trattato come bestiame: incanalato, controllato, marchiato, direzionato e, soprattutto, obbligato a tutto. Codici, numeri, biglietti nominali, tessere del tifoso e quant’altro, salvo poi, in caso reale di problemi o scontri, fare sempre fatica a identificare i colpevoli, per non parlare delle dinamiche.
A Cremona, qualche settimana fa, ci siamo trovati in macchina nel bel mezzo degli scontri: avere avuto esperienze pregresse, sapere come muoversi, cosa fare oltre ad avere ben chiaro cosa non fare è essenziale per evitare sia di prendere due sberle (o ben peggio), sia di essere arrestato e incriminato come facinoroso senza alcuna responsabilità. Nel caso, ad esempio, siamo stati imbucati, da indicazioni errate delle forze dell’ordine, in una zona praticamente non presidiata.
In passato, è successo spesso di dover fare fronte ad assalti e agguati, in treno ad esempio o in zone limitrofe allo stadio. Ricordo sempre gli anziani, più esperti, in primis, a proteggere noi ragazzini, a insegnarci come abbassare i finestrini e tenere tirate le tende; insomma, a limitare i danni.
Una sorta di legge della strada. Però ho sempre sentito questa sorta di responsabilità dei grandi nei confronti dei piccoli, dei vulnerabili, dei deboli e poi, di insegnare le regole, di come non prenderle, di come non farsi male, di come non farsi fare male.
Anche questo, è essere famiglia; una famiglia magari strana e disfunzionale in diversi aspetti; ma che da fuori, in pochi conoscono o vogliono conoscere.
Così come i legami d’affetto, di fratellanza che si sviluppano nel corso degli anni, più di trenta per esempio, tra i gialloblù e i doriani. E ogni volta che ci si trova è una grande festa, fatta anche di sacrifici, di impegno, di sostegno, volontariato e volontà.
Ieri, nessuno dei due ha visto la partita: uno, perché impegnato sul campo da gioco con gli amici nel campionato allievi; io, a Teatro Due, a condividere la sofferenza di non sapere nemmeno il risultato con il già citato Paolo Nori.
Che nel suo spettacolo ha detto, tra le altre, una cosa che mi è piaciuta moltissimo: la scrittura, quella bella, non dovrebbe servire a rendere visibile, l’invisibile; ma a rendere visibile il visibile, ossia ad aprirci gli occhi su quello che ogni giorno abbiamo già davanti al nostro sguardo. Ecco, secondo me, la curva è un po’ così: solo una parte, certi aspetti sono visibili e fanno notizia; gli altri, sembra interessare o esistere solo per chi c’è e vede e guarda ogni giorno.
Sul match, a maggior ragione, peccato non esserci stati a questo Genoa-Parma: evitare la sconfitta parando un rigore a tempo scaduto, dà una certa scarica di adrenalina e una certa soddisfazione.
Genoa-Parma 0-0
Domenica 19 ottobre 2025, stadio Luigi Ferraris in Marassi di Genova, spettatori 30.636 (di cui abbonati 28.101 e paganti 2.535; no ospiti).
Giallo & Blu 🟡 🔵
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