Auguri! Rimpiangendo il candore della neve e il pudore della nebbia
Giunge nuovamente il tempo del Natale ed io, dall’alto della mia quieta eternità, volgo l’augusto guardo verso Parma, con un sentimento misto di affetto e di melancolia. Ah, quanto rimpiango la nebbia fitta, che nel contado stagionava deliziosi insaccati e in città avvolgeva le strade con un manto di mistero, e la neve, che scendeva copiosa e puntuale, regalando silenzio e compostezza.
Il Natale arriva ormai con mitezza impertinente, sciogliendo la solennità della ricorrenza oltre che la neve, ormai divenuta creatura rara, e la nebbia un ricordo da cartolina. Il clima muta, le fioriture si confondono, ma quando le stagioni perdono il senno, non è mai solo colpa del cielo.
Ai miei tempi la città imbiancata obbediva con disciplina al mio editto: ogni suddito spalava il marciapiede innanzi la propria dimora. Un gesto semplice che insegnava al volgo come il bene comune cominci sempre dai pochi metri del nostro cortile. Oggi nessuno spala più la neve che non c’è, ma tutti paion lesti a far sparire errori e nefandezze, che invece abbondano in questi tempi sconsiderati: titaniche arene per ludi pedatori, aeroporti da cui s’alzano solo palloni gonfiati e voli pindarici, e strade che per allargarsi chiedono in sacrificio alberi maestosi, colpevoli solo d’esser vissuti troppo a lungo.
E non mancano i mormorii su un celebrato uomo di teatro, tanto incline a dirigere gli altri quanto poco a contener se stesso, smascherato dopo una vita di intemperanze e improvvisamente caduto dalle tavole del palcoscenico al fango del ludibrio. Nulla dirò di più preciso — pare che favellar quel nome sia interdetto financo a una Duchessa – ma auspico che in questo dramma cadano le quinte e si laceri il sipario, acché il gaglioffo e i suoi manutengoli paghino la loro colpa.
Così si chiude l’anno, tra luci intermittenti e ombre persistenti. E io che su queste lande regnai con rigore e grazia, mi permetto di augurare ai miei amati sudditi un Natale freddo per chiarir le idee, silenzioso quanto basta a farle maturare, e un futuro in cui grandi opere non servano più a celare piccoli pensieri.
Maria Luigia d’Asburgo Lorena



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