L’arca di Noè è passata in via Langhirano
La lunga storia della veterinaria Maria Fausta Melley
In via Langhirano, a Parma, c’è un ambulatorio veterinario dove in 49 anni è transitata l’Arca di Noè. È la lunga storia della veterinaria Maria Fausta Melley che ha visitato e curato migliaia di animali di tantissime specie. Aquile, gufi e altri uccelli rapaci; un puma, boa, pitoni, iguane, lupi e un leopardo, oltre a una miriade di cani e gatti.
Il suo ambulatorio Airone ha compiuto 49 anni di attività e Melley sta passando la conduzione a due giovani veterinari, ma non ha ancora intenzione di ritirarsi.
Qui c’è l’intervista in video podcast. Di seguito un’ampia sintesi per chi preferisce leggere.
Era il 14 luglio 1976 e il primo giorno lo ricorda ancora come fosse oggi. Maria Fausta si era laureata il 2 aprile e assieme al suo fidanzato di allora, Giorgio Mezzatesta, decise di aprire l’ambulatorio.
Lui ci teneva moltissimo che aprissimo uno studio insieme, eravamo negli anni ’70 e teniamo conto di questo. C’erano pochissimi ambulatori in città, uno era quello del dottor Zis, Spiros, che era un greco, molto simpatico. Feci il tirocinio presso di lui. In quegli anni hanno aperto tanti altri che ci sono tuttora, per esempio il dottor Gazzola, il “Dog center” con Mario Leccisi, poi la Marta Petrolini, il dottor Conforti, eravamo i primi.
Insomma, lei si laurea e apre l’ambulatorio, come se fosse una strada già segnata.
Avevamo già deciso tutto, perché già da studenti curavamo gli animali degli amici, dei conoscenti. Quindi sì, non è come oggi che magari si fanno i master, un po’ di esperienza e si rimane indecisi. No, io avevo già deciso tutto durante il percorso universitario.
Quante ragazze studiavano veterinaria?
Pochissime, io e pochissime altre. E in effetti, quando ho aperto l’ambulatorio, a volte più di uno, entrando, mi aveva detto, ma scusi c’è il dottore, pensando che io fossi un’infermiera, un’assistente.
E quando diceva sono io, che reazioni c’erano?
Allora ti guardavano un po’ così, in modo strano, quando dicevo sì, sono io il medico veterinario. perché ci tenevo a dire medico veterinario, perché sembrava che il veterinario non fosse un medico.

Quando iniziò che animali venivano portati in ambulatorio?
All’inizio erano solo cani. I gatti non venivano curati, erano lasciati liberi, specialmente in campagna.
La prima visita, se la ricorda?
Aprii il 14 luglio 1976, in un buchetto, c’erano anche meno norme particolari da rispettare. Era carino, una stanzetta per la visita e un’altra come sala d’aspetto. Per aprire abbiamo chiesto in prestito un milione di lire alla nonna. Serviva per acquistare un tavolo da visita, un bel tavolo in acciaio che è ancora di là, un microscopio, una scrivania e poche altre cose.
Si cominciò così e io dicevo, ma verrà qualcuno? Perché all’epoca via Langhirano era defilata. E invece è andata bene così. Mi chiesero allora 55 mila lire di affitto, a me sembravano tante… il primo giorno sento questo scalpiccìo nelle scale e già ero emozionata, non glielo nascondo, perché comunque era la prima volta.
Era una signora, di cui non ricordo il nome, che abitava in via Langhirano con due cagnolini chihuahua, mordaci. Sa quelli piccolini che proprio abbaiano, ringhiano, ti vogliono mordere? E io li visitai entrambi, piano piano, cercando di non farmi mordere, e dopo andava tutto bene. Lei voleva un controllo, forse voleva anche prendere visione di questa nuova struttura, perché avevo messo fuori un cartello, come c’è adesso, un cartello luminoso in cui c’era scritto Ambulatorio Veterinario. E alla fine… per me venne il momento più difficile, perché non avevo mai chiesto una parcella. E nel momento dell’onorario le dissi: guardi, sono 4.000 lire a visita, perché avevo deciso questa tariffa, ma invece di farle 8 le farò 6.000 lire. Ma la signora protestò, questo mi è rimasto impresso, protestò perché disse “ma come, se andavo dal dottor Zis spendevo meno”. Il famoso dottor Zis, che era stato il mio maestro peraltro. E quindi un po’ mi era dispiaciuta questa cosa. Poi però sono andata avanti e ho lavorato sempre tanto.
E pochi anni dopo c’è la novità di aprire un centro rapaci. Giusto?
Sì, questa era una novità, che per me è stata anche una grande opportunità, perché proprio in quegli anni il fratello del mio ex marito, Francesco Mezzatesta, era diventato segretario nazionale della LIPU, la Lega italiana protezione uccelli che aveva la sede a Parma. E si dava molto da fare, mi ricordo che facevamo delle campagne promozionali contro la caccia. Avevamo fatto un grande manifesto, con scritto “il gufo è stufo”, che ancora ho in casa.
Si creò questa opportunità del centro rapaci che fu realizzato nei Boschi di Carrega, con delle grandi voliere. Naturalmente erano più i rapaci che non ce la facevano che quelli che riuscivamo a liberare. Perché, purtroppo, venivano impallinati. Di là ho ancora uno scheletro di aquila reale, cui manca un’ala; l’avevamo amputata, perché era piena di impallini, andava in necrosi. Avevamo cercato di recuperarla, ma morì, e allora grazie a un preparatore anatomico dell’università, feci conservare lo scheletro, come reperto anatomico importante. E da lì ho curato molti rapaci, che venivano da tutta Italia.
Ne ho maneggiati talmente tanti che mi ritengo fortunata: dal gufo di palude, all’aquila reale, dal barbagianni al gufo reale, dal gheppio, al falco pellegrino, al proposito lo sa che il falco pellegrino vola a 300 km all’ora?
Sono animali meravigliosi e credo che nessun veterinario ne abbia visti tanti come me.

Quanti ne avrà visti? Quanto tempo è rimasto in funzione il centro rapaci?
Dieci anni, diciamo dall’85 al 94, non di più. Ne arrivavano di continuo, almeno uno al giorno. E la maggior parte erano feriti d’arma da fuoco, … facevamo la radiografia, si vedeva che erano impallinati. Quelli che riuscivamo a salvare poi aspettavamo il 25 aprile, che è il giorno della Liberazione, noi liberavamo i rapaci in campagna, nei posti giusti.
Come si cura un rapace?
Già il fatto di curarli era per gli uccelli un evento da paura, hanno molta paura di noi. Coprivamo sempre la testa, fondamentale era coprire la testa, se stanno al buio sono più tranquilli. Tenevamo fermi gli artigli, perché il pericolo sono gli artigli e questo becco, questo rostro, quindi si maneggiavano così, se si poteva senza anestesia. Ne abbiamo veramente curati tantissimi ed è stato questo che poi mi ha portato a chiamare l’ambulatorio Airone. Da allora io ho sempre curato tutti gli animali che mi portavano, dal passerotto al merlo, dal rapace al riccio.
Come si fa? Intendo dire, gli animali hanno delle caratteristiche molto diverse tra di loro
Ogni animale è differente, bisogna sapere gestirli, nella contenzione soprattutto. Con il tempo l’ho imparato, anche perché ho fatto dei corsi, e poi nel 1984 nacque la SCIVAC, società culturale veterinaria animali da compagnia, di cui io facevo parte, che raggruppava un po’ tutte le società culturali d’Italia dei piccoli animali e faceva capo a Cremona e lì ho fatto anche diversi corsi per animali non convenzionali.
Nel sito web c’è una foto sua con un iguana, giusto?
Sì, ma lei non ha visto la foto con il boa. Perché ho curato anche un boa.
E da dove è arrivato?
Qualche anno fa, purtroppo da privati che tengono questi animali in cattività, in una teca. Questi signori avevano un maschio e una femmina e li avevano fatti accoppiare e volevano sapere se la boa femmina era gravida e l’hanno portata qui. Era lunga un metro e mezzo e pesava 15 kg. Una collega è scappata invece l’altra mi ha aiutato, l’abbiamo incappucciata e le abbiamo fatto una radiografia perché il boa è un ovo viviparo, significa che le uova si schiudono dentro all’addome e poi nascono i piccoli boa e quindi finché non nascono uno non lo sa. Dalla radiografia abbiamo visto le uova e abbiamo confermato che era gravida e questo signore era contento.

E l’iguana invece?
Iguane ne ho curate tante anche perché ce ne sono tante sì. Questi animali esotici hanno bisogno del Cites cioè del certificato di dove vengono acquistati. Perché non è che tu puoi andare in Africa e prendere un babbuino e portarlo qui. Però certi animali invece passano la frontiera col certificato quindi si possono vendere. La foto che lei ha visto è di un dragone barbuto,
Che patologie può avere un’iguana?
A volte hanno delle stomatiti a volte hanno delle ustioni da lampada perché ci vuole l’habitat fondamentale, la temperatura giusta, l’alimentazione giusta, un ambiente adatto a loro, riscaldato, e a volte con la lampada si vanno a ustionare. L’importante è sapere che ogni specie animale deve essere contenuto in un determinato modo, e sono le prime nozioni che insegniamo anche agli studenti.
Ospita dei tirocini?
Sin dai primi anni. È stata un’esperienza che mi ha arricchito tantissimo e tengo volentieri le ragazze giovani. Dall’84 mi sono trasferita in questi locali e qui è stato tutto molto più facile perché avendo tanti ambienti abbiamo potuto dedicare una stanza alla chirurgia, una stanza al laboratorio.
Fate anche delle operazioni chirurgiche?
Sì adesso facciamo anche l’ortopedia, mentre io ho sempre fatto chirurgia dei tessuti molli, soprattutto sterilizzazioni che sono la base della chirurgia, e suture di ferite. Una volta mi è capitato un cane aggredito da un cinghiale, aperto dall’ascella all’inguine, ed era la vigilia di Natale. Un’altra volta era il 1° maggio, mi è capitato un cane che stava malissimo, aveva ingerito un nocciolo di albicocca e aveva l’intestino bloccato, anche lì ho operato.
Un’altra branca è l’odontostomatologia che è un campo vastissimo, dai denti da latte che non cadono ai cuccioli, oppure quando sono grandi, problemi con il tartaro che a volte portano a gengiviti anche brutte, a volte purulente e bisogna dare prima gli antibiotici. Se si interviene in tempo riusciamo a salvare i denti. Poi c’è tutta una gamma di interventi a carico del tessuto della cute non so, piccoli papillomi o tumori cutanei di varia natura che a volte possono essere benigni a volte no e adesso per fortuna possiamo fare anche la citologia per sapere in anticipo di che cosa abbiamo davanti. Altre patologie sono calcoli vescicali o le infezioni all’utero nelle cagne e anche nelle gatte, in questi casi prima si interviene meglio è.
Faccio una domanda un po’ provocatoria sui “padroni” perché gli animali d’affezione sono aumentati molto in questi anni e forse è cambiato anche l’atteggiamento dei padroni, dei proprietari degli animali, o no?
È cambiato molto, cinquanta anni fa sicuramente si affidavano di più al veterinario e ti davano anche un po’ più importanza, ho ricevuto un sacco di regali per Natale dai proprietari. Mentre oggi il proprietario è molto più esigente, va su internet – anche se è sbagliato perché se uno non conosce la medicina, le informazioni che trovi ti confondono – viene qui e vuole fare la diagnosi lui. E così dico che noi veterinari dobbiamo anche essere psicologi perché ogni proprietario è diverso e con ognuno bisogna secondo me avere un approccio diverso e comprenderli perché c’è quello molto ansioso e quindi va un po’ assecondato, c’è quello molto esigente e quindi dobbiamo essere ancora più professionali e preparati.
E dobbiamo sapere proporre al cliente gli esami mostrandogli anche i costi di quello che deve fare e perché li deve accettare. Una volta era un po’ più facile in questo senso.

Da parte umana c’è un attaccamento forse più esasperato nei confronti degli animali come se fossero delle compensazioni?
Questo aspetto secondo me c’è sempre stato. C’è chi magari vive solo e l’animale per lui è come un figlio; però le dico per molte persone, anche sposate con figli, il cane diventa il terzo o quarto figlio, lì dipende dal carattere della persona. Poi certo, se una volta gli animali erano in una famiglia su tre, dopo siamo passati a due famiglie su tre e adesso quasi tutti hanno un animale in casa, per cui c’è molto bisogno dei veterinari, oggi.
Soffermandoci sugli animali da compagnia classici, cani e gatti. Diceva che all’inizio erano prevalentemente cani. Oggi com’è il rapporto?
Oggi siamo metà e metà. Una volta il gatto, specialmente se tenuto in campagna, non era portato dal veterinario, quasi mai. In effetti il gatto quando si dice che ha sette vite è vero, molte volte ce la fa da solo, ma oggi si prendono gatti di razza, si prendono gatti piccolini, come dice lei, a volte delle coppie giovani prendono un gattino e lo coccolano come un figlio e quindi seguono tutto l’iter che noi consigliamo, fanno i test per le malattie infettive, li vaccinano, li sterilizzano e quindi anche il gatto è diventato un paziente molto presente.
Altri animali insoliti che ha curato?
Ho curato un puma che veniva da uno zoo. E un leopardo, venuto più volte. Era un cucciolo nato in uno zoo e poi preso da un privato, cosa che secondo me non andrebbe fatta ma tant’è. Alle visite successive il leopardo si puntellava e non voleva più entrare, per cui andavo a fargli una vaccinazione fuori. Era di un signore che aveva una carrozzeria e poi non l’ho visto più, eravamo ancora negli anni Ottanta.
Lupi li ha visitati?
È successo che un mio cliente che abita a Pastorello una volta mi ha portato dei cuccioli, erano sicuramente dei lupi e lui li aveva trovati credendo che fossero abbandonati, invece la mamma lupa si era allontanata perché aveva paura dell’uomo. Li abbiamo maneggiati il meno possibile, perché riportandoli indietro non sapevamo se la madre li accettasse. Li riportò dove li aveva trovati e mi disse che si era appostato e la lupa li aveva ripresi.
Mi raccomando questo lo deve dire: i lupi non attaccano mai l’uomo, mai. Perché sono loro che hanno paura di noi. L’errore da parte di chi vive in campagna è di lasciare il cane fuori o delle derrate alimentari, allora il lupo si avvicina perché ha fame.
Non si è mai pentita di aver fatto la veterinaria?
Succede di avere qualche giornata no, ma gli animali non mi hanno mai deluso, mentre a volte le persone un po’ di più. Diciamo che mantenere una struttura come questa è faticoso da un punto di vista economico, ci vorrebbe davvero un manager che ti porta avanti il tutto. Ma non mi sono mai pentita perché lavorare facendo una cosa che piace è impagabile. Da ragazza volevo fare l’insegnante, come mio padre che ha fatto il maestro elementare tutta la vita, ma poi il mio fidanzato di allora, Giorgio, mi convinse di aprire un ambulatorio insieme.
E dopo ?
A un certo punto, dall’85 – 86 l’ho portato avanti io perché lui lavorava all’USL, poi ci siamo separati e quindi l’ho portato avanti io ed era diventato uno studio di donne. Molte ragazze sono passate di qua come collaboratrici, una è rimasta con me 9 anni, un’altra 5 anni e l’ultima è stata con me dall’85 fino a dicembre dell’anno scorso. Poi ho conosciuto questi due giovani, Francesca Galvani e Antonio Sparaccio, che devo dire sono meravigliosi. Hanno la professionalità, avendo lavorato anche in un pronto soccorso, hanno gli stessi modi miei nell’approccio con il cliente e poi ci troviamo molto d’accordo anche sulle diagnosi, sulle terapie quindi io non potevo trovare di meglio per passare il testimone, come una conclusione di un ciclo.
Francesco Dradi
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