Il Commissario si presenta: “Avanti a tappe forzate”. La diga di Vetto pronta fra sei anni… o forse mai.

Sala del Consiglio comunale piena per l’incontro pubblico dedicato alla diga di Vetto: Amministratori dei Comuni del territorio, rappresentanti delle associazioni di categoria e del mondo ambientalista, qualche cittadino comune. A fare gli onori di casa il Presidente Michele Alinovi e l’Assessore all’ambiente Gianluca Borghi (militante no diga fin da quando portava i calzoncini corti), impeccabili nel ruolo di padroni di casa silenziosi: giusto il tempo di un saluto istituzionale e poi tutti zitti (salvo un sorprendente guizzo finale di Alinovi), perché la scena è del Commissario Straordinario Stefano Orlandini, docente dell’Ateneo di Modena e Reggio e braccio armato del Ministro delle Infrastrutture Matteo Salvini con il mandato di imporre una svolta alla tormentata vicenda dell’invaso sull’Enza.

Già, il Commissario Straordinario: figura nominata dal Governo pochi mesi fa, quando evidentemente si è ritenuto che la gestione del progetto da parte degli Enti “ordinari” (Autorità di Bacino del Po e Regione Emilia-Romagna) non fosse adeguata all’urgenza dell’opera. E così, d’imperio, si è scelto di esautorare i decisori locali, di fatto desaparecidos che vengono giusto nominati per cortesia istituzionale, e centralizzare tutto in una governance più energica, dotata di poteri, per l’appunto, straordinari. Come operare “in deroga alle disposizioni in materia di contratti pubblici”, tanto per dirne uno che fa correre qualche brivido nella platea.

Orlandini si presenta con un certo piglio professorale, chiarendo ripetutamente che il suo mandato è di procedere con un cronoprogramma serrato: entro due anni si dovrà arrivare al progetto esecutivo, entro sei al completamento dell’opera. Il tutto con un budget non chiaramente dichiarato ma che sembra collocarsi poco sopra il mezzo miliardo di euro. Tempi e costi assai poco italiani, ma lui sembra convinto: niente fronzoli, il cronometro corre.

Per scaldare la platea ripercorre la storia di un progetto che affonda le radici addirittura nella metà dell’Ottocento. Il riferimento tecnico di base, però, resta il progetto Marcello del 1981: perché innovare va bene, ma sempre con lo sguardo teneramente rivolto al secolo scorso.

Il Commissario sfoglia slide che chiama “lucidi” – nostalgia canaglia – e parla di sé in terza persona, come si conviene a chi è chiamato a risolvere un rebus politico-idraulico assurto per decisione governativa al rango di opera d’interesse nazionale.

Argomenti centrali dell’esposizione, come era facile attendersi, sono i fabbisogni irrigui dell’agricoltura, l’uso idropotabile e la sicurezza idraulica, alle quali l’opera dovrebbe contribuire con una capacità d’invaso importante, parzialmente dedicata alla laminazione delle piene, stimata in circa 68 milioni di metri cubi nel caso dell’ubicazione alla Stretta delle Gazze e 90 milioni se si farà un po’ più in basso, all’altezza dell’abitato di Vetto, soluzione che Orlandini non nasconde di preferire.

En passant, come fosse un inciampo di poco conto superabile di slancio, si scopre che l’ubicazione della diga a Vetto comporterebbe la sommersione della frazione di Atticola, i cui pochi abitanti dovrebbero perciò – volontariamente, sia chiaro – trovarsi un’altra sistemazione.

Altro tema importante, la fase del dibattito pubblico. Lì, promette, ci sarà spazio per recepire osservazioni e apportare modifiche al progetto, a patto che non siano sostanziali, che sennò che commissario straordinario sarebbe?

Tra le slide ad un certo punto si affaccia l’immagine di un occhione, uccello simbolico che abita i greti dei fiumi, una premurosa strizzata d’occhio alla sparuta truppa di ambientalisti in sala.

Dopo una buona ora di esposizione, spazio agli interventi dal pubblico. Arrivano considerazioni e domande di vario tipo: dai grandi temi strategici a questioni più puntuali di portatori di interesse locali.

La sicurezza è la protagonista indiscussa: dall’entusiasmo del Sindaco di Sorbolo Mezzani, Nicola Cesari, che spera di non dover più passare le notti di pioggia a sorvegliare gli argini, alle perplessità di molti sulla franosità dei versanti e sulla questione del trasporto di sedimenti, uno dei problemi chiave della funzionalità idraulica dell’Enza lungo tutto il suo corso. In zona Cesarini, il sorprendente intervento a gamba tesa del Presidente Alinovi, che ponendo una domanda in tema di frane e dissesti mette il carico evocando il Vajont. Nessun tentennamento del Commissario: la sicurezza dell’opera è la stella polare non negoziabile del suo lavoro, le sorti delle popolazioni vallive sono in una botte di ferro.

A sorpresa, in risposta a una domanda dal pubblico, Orlandini lascia cadere una frase che forse meriterebbe qualche approfondimento in più: è fondamentale considerare non solo la diga, ma tutta l’asta fluviale, su cui da anni è aperto un Contratto di Fiume. Dettaglio neppure accennato fino a quel momento, di quelli che potrebbero cambiare tempi e costi dell’intero progetto. Il tempo dirà se è solo captatio benevolentiae o se c’è un’effettiva volontà in questo senso. Altra sorpresa: malgrado il segnale politico della nomina del Commissario sembri dire tutt’altro, è ancora formalmente sul tavolo anche l’opzione zero, cioè la possibilità che l’opera non si realizzi se non ci saranno le condizioni.

Tra i tanti interventi di plauso entusiastico si distingue il consigliere regionale del Pd, Matteo Daffadà, uno che se si parla di ruspe e cemento si illumina d’immenso, quasi commosso quando il Commissario favoleggia di un cronoprogramma da sei anni “compresa la realizzazione”. Un sogno di efficienza che fa brillare gli occhi a tanti e alzare le sopracciglia a tanti altri.

Per chi fosse interessato ad approfondire è stato attivato il sito https://www.dptorrenteenza.it/ .

Rolando Cervi

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