Pums: un primo sguardo tra qualità tecnica e contraddizioni
Uno degli strumenti di pianificazione che più impattano sul quotidiano di tutti i cittadini è il Piano Urbano della Mobilità Sostenibile (PUMS), recentemente adottato dalla Giunta Comunale di Parma.
Diamo tutti per scontato di doverci muovere quotidianamente per studio, lavoro, svago o altre necessità, ma in genere non ci preoccupiamo di come è pensato e progettato il sistema che soddisfa questo nostro bisogno. La mobilità non è una questione solo tecnica, al contrario, è una delle dimensioni che più profondamente plasmano la qualità della nostra vita. Eppure, troppo spesso i cittadini tendono a delegare questi temi agli specialisti, senza coglierne l’effetto sulla loro esistenza.
Un’analisi più approfondita del nuovo PUMS potrà avvenire solo dopo la presentazione ufficiale prevista per la prossima settimana e, soprattutto, alla luce dell’esito delle osservazioni che dovranno essere depositate entro metà giugno. Nel frattempo, una prima lettura dei documenti — centinaia di pagine dense di analisi e proposte — consente già alcune riflessioni. La delibera di giunta che adotta il PUMS è dello scorso 2 aprile e la trovate qui.
Il nuovo PUMS di Parma si presenta come un documento tecnicamente solido, certamente più maturo rispetto a quello del 2017, uno dei primi redatti in Italia.
I principi generali e molte delle misure previste appaiono pienamente condivisibili, poi si tratterà di capire con quale investimento economico e politico si cercherà di implementarle, ma certamente la prima impressione è complessivamente favorevole: si parla di incentivare il trasporto pubblico, la mobilità ciclabile e quella attiva in generale, con l’obiettivo dichiarato di ridurre l’uso dell’auto privata. A oggi, oltre la metà degli spostamenti urbani a Parma avviene ancora in automobile, una percentuale troppo elevata che è indispensabile ridurre.

Tuttavia, il documento presenta anche alcune contraddizioni su cui è giusto riflettere. La più evidente riguarda il progetto Via Emilia Bis, indicata come opera acquisita nonostante l’iter autorizzativo e progettuale sia appena agli albori. Ancora più sorprendente è che l’analisi di scenario preveda che questa infrastruttura intercetti anche parte del traffico autostradale della A1, un controsenso totale. Le autostrade esistono proprio per drenare traffico dalla viabilità ordinaria, se succede l’inverso c’è decisamente qualcosa che non va.
Un secondo elemento critico è l’aumento previsto della velocità media in città al 2030-2035. Questo dato contraddice l’obiettivo, citato più volte nel piano, di implementare misure di mitigazione della velocità, fondamentali per aumentare la sicurezza stradale. Più velocità non significa solo più rischio, ma anche imboccare una strada contraria rispetto alle buone pratiche europee. Una recente ricerca ha evidenziato che ridurre di un solo chilometro orario la velocità media a livello europeo potrebbe salvare oltre 2.000 vite all’anno. Bologna, che ha implementato il progetto “Città 30” nel 2024, ha ridotto la velocità media nel territorio comunale di soli 2 km/h, eppure ha visto dimezzarsi le vittime della strada. Per questo, non solo l’obiettivo di aumento della velocità appare difficilmente ottenibile, ma soprattutto non desiderabile. Il giusto obiettivo di aumentare la fluidità del traffico non può e non deve generare più velocità, ma più sicurezza.
Un piano di mobilità del 2025 deve avere il coraggio di affermare con chiarezza che la velocità nel tessuto urbano va ridotta. Non è solo una scelta tecnica, è una scelta di civiltà che, dati alla mano, salva la vita delle persone.
Rolando Cervi
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